Uno sviluppo al bivio. Il caso di Saline Joniche
Le contraddizioni del nostro Mezzogiorno sono ormai quasi un argomento noioso e scontato. La voglia di “riscatto” delle comunità locali, però, non lo è e non può esserlo. Vorrei condividere con voi un tipico esempio di situazione al limite, purtroppo attuale e temo diffuso. Siamo in Calabria, nell’area di Saline Joniche in provincia di Reggio.
Un territorio deturpato sin dagli anni ’70 dalla costruzione dell’inutilizzato impianto industriale della Liquichimica che, nei fatti, lo ha antropizzato forzatamente. Cosa resta? La sofferenza di un paesaggio ricco di bellezze naturalistiche e culturali, ma anche la volontà di una comunità di sperimentare forme di sviluppo locale e di decidere il proprio destino.
Ma il futuro di Saline Joniche, oggi, si trova ad un bivio. Da una parte, la proposta di realizzare una centrale a carbone per la produzione di energia elettrica, dall’altra le proposte alternative di una comunità che non ci sta e che non si limita alla protesta, che si attiva, cerca e propone soluzioni. Come? Attraverso un processo pubblico di condivisione di idee e progetti realizzati da esperti, sottoposti ad un percorso valutativo, messi nero su bianco su un catalogo e presentati con un evento e una mostra. Parliamo di decine di progetti concreti che puntano, al contrario, su natura, cultura e paesaggio come leve principali per implementare lo sviluppo del territorio.
E’ un’opposizione attiva, civile e corale, quella calabrese, fatta di proposte per favorire quei processi di ri-costruzione del tessuto connettivo di una comunità, di cura e tutela del territorio che, probabilmente, la realizzazione di una centrale a carbone concorrerebbe a vanificare.
E’ interessante riflettere sul fatto che, su quella stessa area, è attivo un articolato progetto sostenuto dalla Fondazione CON IL SUD (con risorse, quindi, totalmente private) e promosso dall’Associazione Pro-Pentedattilo Onlus in collaborazione con altre organizzazioni non profit. Un’iniziativa che si muove nella stessa direzione, che mette in rete le energie migliori del territorio, rafforzando prassi di comunità per promuovere lo sviluppo locale, valorizzare i borghi, contrastarne lo spopolamento, migliorare le condizioni sociali, economiche e culturali della zona.
Viene quasi naturale, allora, chiedersi perché mai tutto questo debba restare inascoltato. E perché ci ostiniamo a proporre, invece, soluzioni figlie di una visione anacronistica dello sviluppo che, nei fatti, bruciano sul nascere ogni forma di auto-sviluppo e quel processo, certamente difficile ma sicuramente più solido, di coesione sociale e costruzione di una responsabilità collettiva verso i beni comuni. Quante volte al Mezzogiorno viene rimproverato di “piangersi addosso”, quanti gli inviti a “rimboccarsi le maniche”? E soprattutto quante volte, sulla carta o a parole, si è detto e si dice che lo sviluppo deve essere partecipato, sostenibile, che dobbiamo valorizzare le nostre ricchezze paesaggistiche e culturali, puntare sul turismo e stimolare giovani e comunità al Sud ad essere protagonisti?
A chi pensa che queste riflessioni sono chicchere da sociologi di strapazzo, ricordiamo che la storia del Sud è la storia di sconfitte figlie della cultura degli eventi decisivi e risolutivi.
Siamo in effetti al bivio, anche da questo punto di vista.
Carlo Borgomeo
Fondazione “Con il Sud”