Dal silenzio della preghiera al grido per risvegliare le coscienze
Pubblichiamo quest’articolo di Antonio Marino, recentemente pubblicato sul settimanale diocesano Avvenire di Calabria:
La Veglia in Cattedrale per le vittime della violenza. Dal silenzio della preghiera al grido per risvegliare le coscienze
“Dobbiamo assumerci tutti quanti le nostre responsabilità di credenti, affinché la speranza, il trionfo del bene, si compia”. Padre Giuseppe Fiorini Morosini scandisce con calma ogni parola, guardando negli occhi ciascun partecipante – tanti giovani, diversi presbiteri, e poi religiosi e consacrate – alla veglia di preghiera per le vittime della ‘ndrangheta e il risveglio delle coscienze.
Promossa dall’USMI e dalla CISM diocesani, la veglia – che si è svolta nella Basilica Cattedrale, ai piedi di Maria SS. Madre della Consolazione - è stata presieduta proprio dall’Arcivescovo, assistito dal Prevosto della Cattedrale don Gianni Polimeni e affiancato da don Vittorio Quaranta, responsabile della CISM diocesana.
“Abbiamo varcato la porta del tempio per proclamare le Beatitudini. Abbiamo, con Paolo, cantato: chi ci separerà dall’amore di Cristo? Ebbene: noi crediamo nella follia della Croce!”
L’attacco dell’omelia di Padre Giuseppe va dritto al cuore dei fedeli, mettendo a soqquadro le stereotipate convinzioni che affollano le menti di quanti combattono il malaffare…ma non desiderano sradicarlo fin dalla radice, ma – magari… – semplicemente dare una potatina in superfice…
Ripercorre, l’Arcivescovo, i tre momenti della veglia (Sostenuti dalla fede … ricerchiamo la giustizia … camminando nella speranza), ricordando che “le parole della Bibbia le possiamo accettare e vivere quando le caliamo nella nostra esperienza”.
“Nella prima lettura – sottolinea Padre Giuseppe – tratta dal Libro della Genesi, intravedo la pazienza della fede dinanzi al male che appare invincibile e sembra sovrastare tutto. Abramo, che ebbe fede e speranza, sperando contro ogni male, fu l’uomo dell’attesa paziente. Un po’ come noi che, pensando alla malavita, esclamiamo: Signore, ma quando finirà? E all’orecchio avvertiamo il sussurro di Dio: abbi pazienza, finirà! E nell’attesa la fede si purifica, sviluppa i sentimenti più profondi; e noi cresciamo nella capacità di abbandonarci a Dio e nel desiderio di stare faccia a faccia con Lui, vivendo intensamente il colloquio d’amore”.
Le parole dell’Arcivescovo continuano a scombinare i piani di quanti, vittime della frenesia, pretenderebbero tutto e subito, dimentichi della dolce trepidazione che caratterizza il tempo dell’Avvento ormai imminente…
“Nel Vangelo di Matteo – prosegue Mons. Morosini – seconda lettura, riscontriamo la provocazione che la fede lancia a ciascuno di noi! Questo brano mi riporta alla mente le difficoltà che emergono nel leggere ed accettare la tragedia delle vittime della ‘ndrangheta. Dov’è Dio, dov’è la Sua misericordia, dov’è la Sua giustizia? L’evangelista Matteo ci offre la risposta, mettendoci tra le mani le Beatitudini. Certo, non tutti comprendono che la vera, unica, esaustiva, efficace, risposta al sangue e all’odio sono le Beatitudini: addirittura c’è chi ritiene che la Chiesa, nascondendosi dietro ad esse ne approfitti per voltarsi dall’altro lato, facendo finta di non vedere… E invece noi, con la forza che nasce dal Cristo, dobbiamo ribadire: beati i poveri in Spirito…”
L’ Arcivescovo prosegue la sua meditazione mentre vengono definitivamente cestinati i pensieri di quei cittadini che, innamorati della storia babilonese, credevano di poter risolvere il tutto con la legge del taglione: occhio per occhio…
“L’Apocalisse, infine, ci indica la forza innovatrice della speranza affidata alle nostre mani. E la speranza – puntualizza Padre Giuseppe – è il prodotto della sintesi tra la fede in Dio e l’azione dell’uomo. Pertanto, da autentici uomini di speranza, siamo chiamati ad annullare definitivamente il divario tra fede e vita. Siamo chiamati a promuovere azioni pastorali incarnate: annunciare Gesù in questa nostra storia. Siamo chiamati a conoscere, approfondire e diffondere la Dottrina Sociale della Chiesa. Siamo chiamati a denunciare il male, anche a costo di mettere a repentaglio la nostra incolumità. Più siamo a denunciare il male, più liberi saremo”.
Il verbo “denunciare” viene quasi urlato dall’Arcivescovo: le dieci lettere che lo compongono rimbombano nella maestosa cattedrale, rimbalzando da un cuore all’altro!
Ma, quando ognuno ritiene conclusa l’omelia episcopale, le menti si ritrovano schiaffeggiate da un monito solenne, forte, addirittura … scandaloso:“Non lasciamoci ingannare alle prossime elezioni comunali”.
Padre Giuseppe alza il tono della voce, quasi a svegliare la città da un diabolico sonnecchiare: “Non accettiamo promesse da nessuno. Non è più tempo di promettere ai cittadini la luna! Carte alla mano, chiarezza nel parlare: mi prometti il posto di lavoro ma, il Comune, in cassa, quanti soldi ha? Può permettersi di promuovere assunzioni? Cari fratelli e sorelle – conclude l’Arcivescovo – non lasciamoci allettare dai fuochi fatui, dalle lucciole. Piuttosto, preferiamo chi, pur garantendo sacrifici, parla con la verità”.
Padre Giuseppe, la cui unica difesa è la Croce del Cristo, parla a un popolo straziato da una crisi che sta cancellando il termine “futuro” dal vocabolario dei giovani e sta precocemente facendo invecchiare uomini e donne che, avvinghiatisi ai progetti dei sabati pre-elettorali, si ritrovano con le boccucce dei figlioletti da sfamare e le pensioni dei genitori da moltiplicare.
Avviandosi alla conclusione, l’Arcivescovo si rivolge d ognuno degli uomini della ‘ndrangheta: “Cerca di immedesimarti nella persona che stai colpendo. Tu sei padre, stai uccidendo il figlio di un altro padre, proprio come te. Indossa i loro panni, vivi sulla tua pelle quel dolore lacerante. E soprattutto, abbi il coraggio delle tue azioni: non nasconderti dietro una bomba al portone, una macchina fatta saltare, o il Museo dello Strumento Musicale incendiato. Gesti ignobili che soltanto i vigliacchi possono fare”.
Ma la conclusione spiazza un po’ tutti … talmente si rivela insieme formidabile e inattesa.
Con voce ferma, con lo sguardo del padre che ama e vuol vedere crescere i propri figli, Padre Giuseppe conclude: “Mi rivolgo ai sedicenti cristiani che abitano le nostre parrocchie: smettetela di scrivere lettere anonime al Vescovo. Metteteci la faccia nel parlar male di quella comunità o di quel parroco. Venite a trovarmi e, faccia a faccia, ditemi ciò che pensate. E’ inutile spedire lettere anonime. Il loro destino è quello di finire celermente nel cestino! È una vergogna! Basta!”
L’atto di Consacrazione alla Madonna della Consolazione, intensamente vissuto, conclude il momento di preghiera.
I fedeli alla spicciolata lasciano la Basilica Cattedrale, “dopo aver varcato la porta del tempio, dopo esserci posti faccia a faccia con Dio, riconciliati di fede e speranza facciamo ritorno nelle nostre comunità”.
Queste le parole pronunciate da Padre Giuseppe alla fine della veglia.
Una veglia che – sapientemente strutturata nei testi e nei segni e nel commento musicale – lascia nell’intimo di ogni partecipante un desiderio: farsi folle … vivere la follia della Croce … per essere, come indicato da uno dei segni portati all’altare, sale che da sapore e non infecondi come la sabbia del deserto!