Riflessioni per la Quaresima
Nell’imminenza dell’inizio della Quaresima, momento forte dell’anno liturgico, riceviamo dal nostro AS Giuseppe Angelone, Consigliere Nazionale del MASCI, alcune riflessioni tratte da una lectio del Cardinal Martini che parte da un commento al cap. 18 del Vangelo di Matteo, con riferimenti anche al cap. 17. “E’ opportuno – afferma Peppe – che ciascuno si ponga nella giusta dimensione di preghiera, di conversione, di penitenza. Nel contempo – presegue nel suo invito rivolto alla sua e nostra Comunità MASCI RC 4 – è utile riprendere, con decisione, il tema dell’essere comunità e sul fare della comunità”.
Matteo 18
1 In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». 2 Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: 3 «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. 4 Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. 5 E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me.
6 Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. 7 Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!
8 Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. 9 E se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco.
10 Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli. 11 [È venuto infatti il Figlio dell’uomo a salvare ciò che era perduto].
12 Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta? 13 Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. 14 Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli.
15 Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16 se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17 Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea; e se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. 18 In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo.
19 In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. 20 Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».
21 Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». 22 E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.
23 A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. 24 Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. 25 Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. 26 Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. 27 Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito.
28 Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! 29 Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. 30 Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.
31 Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32 Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. 33 Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? 34 E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. 35 Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».
LO SCHEMA DEL CAPITOLO
I vv. 1-4 descrivono un litigio dei discepoli su chi è il più grande, un litigio di ambizione: la comunità è il luogo dove ci sono anche ambizioni e litigi.
Il v. 5 rileva un atteggiamento importante della comunità: l’accoglienza dei piccoli, collegato strettamente con il v. 4: “ Chiunque diventerà piccolo come questo bambino sarà il più grande nel regno dei cieli”.
I vv. 6-11 presentano il terzo tema: l’abominio contro lo scandalo dato ai piccoli della comunità. Vengono ribadite le esigenze del vangelo del cap. 5, quando Gesù parlava della necessità di strappare l’occhio o il braccio per non peccare.
I vv. 12-14 con la parabola della pecora smarrita, ritornano sui versetti precedenti, sul comportamento verso i piccoli. La parabola conclude: Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli”.
La sesta parte del discorso, che più propriamente si può chiamare regola comunitaria, è presentata nel vv. 15-17. Assistiamo a una vera procedura, quasi giuridica, per il recupero alla comunità di chi si era perduto. La parabola dei vv. 12-14 insisteva sull’importanza di ritrovare chi si è smarrito e ora viene spiegato come recuperare il perduto.
Il v. 18 appartiene ancora alla sesta parte del discorso ed è molto significativo perché enuncia il principio generale di corrispondenza tra comunità terrena e comunità celeste; quanto fa la comunità ha valore soltanto se tocca l’eternità.
Un’altra corrispondenza tra cielo e terra è esposta nei vv. 19-20; qui la coscienza della comunità è elevata a livelli altissimi: in essa c’è Gesù quale garanzia, pegno, realizzazione della presenza di Dio, della Trinità.
Nei vv. 21-22 ritorna la figura di Pietro che chiede precisazioni sul perdono al fratello. La risposta di Gesù è lapidaria: “Fino a settanta volte”.
Nei vv. 23-35 Gesù amplia il discorso con una parabola che nuovamente mette in relazione terra e cielo. Ciò che accade nella comunità, in bene o in male, ha ripercussione nel cielo.
MEDITATIO: il messaggio di Matteo 18.
Da che cosa è fatta la comunità, secondo le parole di Gesù? Da quali atteggiamenti è costituita?
• Il primo atteggiamento costruttivo che fa la comunità, in opposizione a quello distruttivo dell’ambizione, è la piccolezza del cuore, l’essere piccoli, senza pretese e senza gonfiature, senza presunzioni. E’ la conversione alla semplicità evangelica, ritornano il vv. 1-4: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli” e il commento più bello a queste parole lo troviamo negli scritti di Teresa di Gesù Bambino raccolti in “Storia di un’anima”.
• Il secondo atteggiamento è l’accoglienza: una comunità che accoglie e cura i membri più insignificanti con pazienza, premura e affetto (vv.5-10), che si preoccupa di non scandalizzare e, in positivo, di edificare, di aiutare i più deboli e fragili nella fede. E’ molto importante ricordarsi che la Chiesa non dà solo attenzione ai migliori, bensì anche a quanti non hanno rilevanza, non hanno voce, sono deboli.
• Il terzo è la cura da parte della comunità di chi è smarrito (vv.12-14). La chiesa accoglie con gioia, con letizia chi si è perduto, anziché criticarlo e rimproverarlo. La misericordia è tipica della comunità evangelica.
• Tuttavia, tale atteggiamento, che è il contrario dell’irrigidimento, ha un altro aspetto: la correzione fraterna (vv.15-18), che ha una sua serietà molto precisa. Il recupero non equivale ad un abbraccio che dimentica tutto; piuttosto è un’attenzione a far compiere un cammino di riabilitazione, un cammino serio di ripresa, per rispetto della persona stessa. Non bisogna nascondersi i difetti ed i peccati dei membri della comunità, ma aiutarli amorevolmente a vincerli, a uscirne.
• Il quinto atteggiamento è la preghiera comune, di cui si parla brevemente e insieme con forza nel vv. 19-20. Questa preghiera comune infonde nella comunità la certezza di essere in contatto col Padre, di venire ascoltata.
• L’atteggiamento espresso più a lungo è il perdono delle offese: dobbiamo continuamente perdonarci, capirci, accettarci e allora la comunità cresce con il mutuo perdono. Essa non è composta di perfetti, anzi è luogo di perdono. Gesù lo ribadisce con la parabola del servo spietato (vv.21-35).
• Un altro elemento che fa la comunità è il rapporto fiducioso con Pietro (17, 24-27). Chi fa la comunità? Cioè chi sono i soggetti umani che fanno la Chiesa?
• Soggetti celesti: il Padre – Gesù – lo Spirito
• Soggetti terreni: i soggetti terreni menzionati nel cap. 18 hanno diversi nomi e li distinguiamo in costruttori e distruttori della comunità.
I Costruttori vengono chiamati:
- Figli: coloro che hanno lo spirito filiale.
- Discepoli: color che avendo accettato l’insegnamento di Gesù intendono seguirlo.
- Piccoli: dall’animo semplice, che credono nel Regno e hanno affidato la loro vita al Padre in Gesù
- Fratelli: pur se hanno commesso una colpa. La Chiesa è una comunità di fratelli, di fratelli anche peccatori. La definizione sarà ripresa in Mt 23, 8-10: “Ma voi non fatevi chiamare rabbi, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno padre sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo”.
Tutti fratelli, tutti figli, tutti piccoli: il vero Maestro della comunità è Cristo. E, in 23,11-12: “Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato”. E’ un altro modo per insegnare che la comunità è composta di gente semplice, senza pretese.
Ci sono inoltre due forze che sostengono, trainano la comunità. I vv. 18-20.22.35 parlano anzitutto di oranti, di coloro che pregano sul serio nel nome di Gesù e sono riuniti nel suo nome; poi di perdonanti che, attraverso il perdono delle offese e con il sacramento della Riconciliazione, costruiscono la Chiesa.
- Occorre aggiungere la figura di Pietro, espressamente nominato tra i soggetti umani positivi (17, 24ss; 18,21). Pietro contribuisce, in più, al processo comunitario grazie ad un opera di discernimento utile a capire che cosa si deve fare nella Chiesa.
I distruttori sono anch’essi soggetti della comunità, ma ovviamente non portano quella efficacia e quella gioia che permettono di lavorare in un mondo ostile.
Vengono chiamati:
- Ambiziosi: e, in 18,1 sono proprio i discepoli. Perciò nella comunità esistono ambizioni, rivalità, tensioni, corse ai primi posti. E’ davvero sconcertante leggere, nella storia della Chiesa, quanto abbia giocato l’ambizione. Dobbiamo prenderne atto, come ha fatto Gesù che non rifugge dal costituire una Chiesa in cui sa che sorgeranno problemi del genere. Egli la configura come luogo dove va continuamente rimesso in circolo, nella lotta, lo spirito di umiltà.
– Scandalosi: è un altro nome dei distruttori. Non esiste una comunità senza scandali, espressi in 18,6-7. Pur deprecandoli e cercando di rimuoverli, non potremo mai impedire del tutto che avvengano. Quindi la comunità è attorniata e anche penetrata dalla tentazione del male; essa passa attraverso il male del mondo e il suo compito è di purificarlo e di purificarsi, precisamente nel contatto doloroso con esso.
– Smarriti: oltre agli ambiziosi e agli scandalosi ci sono gli smarriti (18,12): la pecora che si smarrisce non deve suscitare pessimismo; la sua perdita è invece occasione di ricerca, di affetto, di attesa e di gioia allorchè viene ritrovata.
– Colpevoli: sono un’altra categoria di persone che non costruiscono la comunità: “Se tuo fratello commette una colpa…” (vv. 15ss). Si tratta di colpe nella comunità e nelle quali si insiste. La Chiesa è fatta pure di colpevoli e di colpevoli che non si ravvedono né alla prima, né alla seconda ammonizione; per essi talora è necessario il distacco. La comunità ne soffre, ne è travagliata e Gesù ci tiene a darcene un quadro realistico, un quadro pragmatico in cui si riflette sia la sapienza del Signore sia le esperienze delle primitive comunità cristiane; è l’esperienza vissuta dalla comunità di Matteo ed era urgente richiamare le parole di Gesù per infondere coraggio, conforto, per assicurare: guardate che non siamo fuori strada, è normale che avvengano queste cose.
“Ora con la Chiesa e come la Chiesa, noi a causa del mondo, siamo in stato di emergenza. Invece, mentre si cammina si può pensare, ci si può raccogliere, si può riflettere. Noi siamo sempre indotti nella tentazione di dimenticare questa condizione, questo stato di emergenza e di trasformare le soste della nostra vita in immobilismo o in chiacchiere. Le stesse parole del Signore e l’interpretazione che Egli ne dà, possiamo sclerotizzarle, dimenticando che sono spirito e vita”. (Madeleine Delbrel, Indivisibile amore, Piemme 1994).
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« Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri » (Fil 4,8).
Appendice
La comunità MASCI
Occorre qui ricordare che la Comunità, base metodologica e strutturale del MASCI, è:
• espressione viva ed operante di tutti i suoi aderenti, gruppo primario basato sulla fraternità;
• comunione di fede e di speranza cristiana;
• centro di educazione permanente e, come tale, luogo di formazione e di crescita dei suoi componenti, di confronto e di verifica fra le diverse esperienze di vita e di servizio, di impulso e di ricarica personale;
• centro attivo e dinamico di vita, matrice di comuni opzioni di impegno e di servizio.
Le Comunità del MASCI sono quindi anche “Comunità di fede”. In esse gli adulti scout sono aiutati a realizzare se stessi come cristiani adulti per i quali “la maturità, in senso umano e cristiano, è contrassegnata da più profonda armonia della personalità, da più ricco e consapevole possesso della verità, dal saper fare dono di sé nell’amore, dalla piena coscienza di precise responsabilità nella Chiesa e nella convivenza sociale (RdC 139).
Si tratta di un itinerario che permette agli Adulti Scout di accogliere e via via approfondire quanto il Signore Gesù ci ha consegnato: un sacerdozio che abilita a rendere a Dio nel Cristo un sacrificio gradito; un profetismo che dice annuncio della buona notizia della salvezza attraverso i momenti abituali di ogni giorno; una regalità che – nello spirito Scout – li fa gestori, già adesso e qui, di quel Regno atteso ma già tra noi in germe. L’esperienza scout, inoltre, fa degli adulti scout uomini e donne portatori di uno stile di ecclesialità attento ai segni dei tempi.
La Parola pregata e celebrata, rappresenta il punto di riferimento principale degli adulti scout, che si impegnano a conoscere le Scritture e l’insegnamento del Magistero.
La Comunità è il luogo nel quale gli adulti scout confrontano le loro posizioni e i convincimenti raggiunti nel rispetto e nella comprensione della libertà altrui e vivono il loro cristianesimo con spirito sinceramente ecumenico.
Ed è nel contesto della vita comune che più facilmente si può sviluppare:
• la dimensione della conoscenza della Sacra Scrittura e del metodo scout con l’ascolto della Parola di Dio affiancato alla lettura del pensiero di B.-P. e dalla verifica di esperienze comunitarie collegate;
• la dimensione dello stile attraverso un’animazione specifica della catechesi, privilegiando il rapporto con il creato, la strada, la creatività, preghiere spontanee, momenti di silenzio, di spiritualità, fuochi, veglie, segni, simboli , lectio (ed in particolare di collatio ed oratio);
• la dimensione della strada attraverso una catechesi esperienziale, luce e sale delle attività comunitarie (accoglienza, fraternità, condivisione), dei servizi nella città, in parrocchia, nel quartiere, in famiglia e sul lavoro, nella vita all’aperto e nella lode a Dio. L’applicazione del metodo e la scelta di alcune riflessioni (Dio Padre fedele e misericordioso – Gesù Cristo , compagno di strada e nostro Capo – Salmi e temi della lode, del ringraziamento) possono permettere di creare spazi e momenti educativi per promuovere la dimensione della gioia.
La catechesi del quotidiano, tra l’altro, favorisce una presenza più attiva nella comunità ecclesiale e nella società, dando attenzione quindi alla dimensione della testimonianza, e di conseguenza senso al nostro cammino nella Chiesa locale.
Il servizio del prossimo
Il servizio del prossimo rientra nei quattro punti principali della formazione scout proposta da Baden Powell: carattere, servizio del prossimo, abilità manuale e salute fisica.
Ecco alcuni spunti di riflessione di B.-P. tratti dalla prefazione a “Scouting for Boys” in India del giugno 1923:
Quale che sia il nostro credo religioso o il nostro Paese, come servi di Dio la nostra principale preoccupazione è quella di fare la Sua volontà durante il breve periodo in cui viviamo su questa terra, prima di “tornare a Dio”.
E il servizio di Dio? Cosa rappresenta per l’uomo comune? Non ce lo dice forse – a parte tutti i libri e tutte le teorie – la coscienza? Non ci dice forse che per i figli di qualsiasi Paese, la disponibilità e la buona volontà verso il prossimo sono la forma più alta del servizio e di tutte la più gratificante?
Il compimento di questo servizio comporta la repressione delle proprie piccole ambizioni personali, che vanno messe al secondo posto, che siano ambizioni di potere, o di ricchezza, o di successo politico: esse contano pochissimo quando “torniamo a Dio”.
Matteo, nel suo Vangelo (7,21) ci propone un’altra riflessione:
Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Ciò che qualifica il servo nella costruzione del regno non è il sentimento, sempre fragile, né la sincerità d’intenti, facilmente instabile perché legata all’entusiasmo del momento, e neppure il bisogno dell’agire per l’agire, ma il dono effettivo di se stessi a Dio. Per questo è necessario fare attenzione al puro attivismo, che spesso confonde il fine con le proprie realizzazioni e la dedizione con il bisogno dell’affermazione di se stessi.
Possiamo perciò dire che il “servizio del prossimo” per essere realmente un dono deve essere strettamente legato alla solidarietà, alla gratuità, alla libertà, alla competenza.
Il messaggio che lo scautismo tenta di far passare è che il servizio deve diventare un’abitudine, un atteggiamento di vita, una disponibilità, una vocazione gioiosa, senza atteggiamenti di colpa o esasperata ricerca di perfezione, un atteggiamento concreto improntato al “fare” e non al “dover essere”.
In modo particolare lo scautismo promuove il messaggio sul servizio attraverso la Promessa: lo scout e la guida si impegnano … “a fare del loro meglio … per aiutare gli altri in ogni circostanza”; e con il terzo articolo della Legge: “Lo scout e la guida si rendono utili e aiutano gli altri”.
Per concludere possiamo dire che il servizio è il nostro modo di incarnare la Parola di Dio, di vivere la comunità, la strada, l’avventura.
Senza servizio, la nostra fede è come una campana stonata.
Senza fede, il servizio è sterile attivismo.
Il servizio è un segno di riconoscimento perché manifesta la fede: “vi riconosceranno da come amerete”.