Rosso di sera…
Rosso.
Sulle mani e come le mani di Giuseppe, che raccolgono le more, una ad una, fino all’ultima, per donarle agli ospiti. Piegato, sul roveto intrecciato e reso caldo dal sole, giù, fino a terra, come se il gesto di scovare e prendere anche la più piccola mora, quella più brunita dal tempo, fosse un dovere non rinviabile, oltre che un piacere. E solo quando nelle mani, grandi, non riescono più a stare, si convince a depositarle in una ciotola, quasi con dispiacere, poiché frutto della fatica e del suo lavoro, racchiuso in quelle mani, come un dono prezioso della terra all’uomo.
Rosso.
Come le facce striate dai raggi roventi dell’estate. Durante il cammino, sul pendio sconnesso di S. Elia, giù giù fino a Palmi, fra le radici, le pietre, i pezzi di legno. E l’erba, allungata sul sentiero a riprendersi quello che i passi tentano di districare. Mentre Piero si intrufola nel verde e striscia a cercare passaggi appena accennati e gli altri osservano attenti pensando a come, un tempo, avrebbero disegnato passi di danza su quel tratto scosceso ed ora seguono le linee deformi del margine accennato, badando ad ascoltare l’eco, rimandato dai muscoli, insonnoliti, delle proprie gambe.
Rosso.
Come il fuoco acceso da Marco e Saverio per preparare la carne, affumicata dai rami di rosmarino messi ad arte fra le fiamme, che rilasciano un magnifico profumo, a perdersi nello sfrigolio del grasso che scivola nella brace.
Rosso.
Come il trattore. Mostro meccanico che arrota la terra e la rivolta, la spinge, la smuove, la apre e la prepara alla semina. Comprato con ciò che Giuseppe ha ottenuto grazie al suo coraggio, alla sua determinazione, alla voglia di tenere la sua terra e non cederla a chi, con minacce, ricatti e l’incendio dei suoi splendidi olivi, maschera nella violenza di un gesto la propria follia criminale.
Rosso.
Come il vino. Portato in grandi bottiglie e sversato in brocche più piccole, che però finiscono subito, dando l’illusione che la quantità finale sia inferiore a quella originaria, tanto che, no … non sarà proprio possibile ubriacarsi stavolta …
Rosso.
Come le linee dei fiori delicati portati a tavola da Pia, che ingentiliscono il desco, per chi si ferma a guardare e riscoprire, in un così piccolo elemento, l’eleganza della Natura.
Rosso.
Come il nostro sangue. Come il Sangue di Cristo, offerto in remissione dei peccati. Sull’ostia benedetta che Don Pino ci porge, durante la Messa.
Rosso.
Come il mio cappello e le nostre magliette.
Certo, le nostre magliette sfolgoranti. Segno distintivo immediato e diretto di un motivo che ci ha riunito lì, in quel momento. In quei giorni. Rosso di fiamma, di brace, di forza e di emozioni. Rosso per Maria Laura, inginocchiata davanti all’altare. Per Catia , per le sue lacrime ed i suoi pensieri. Per i nostri abbracci e i nostri sguardi, durante il segno della Pace. Per le nostre mani che si raggiungono e si stringono. Per la forza della quercia che filtra il fuoco del giorno e ci racchiude in un posto che è magico, dove passa il respiro di Dio. Rosso per noi che siamo tristi, e allegri, e affaticati, e forti, e stanchi, e pieni di vita, e scontrosi, e che ci guardiamo dritti negli occhi. E che ce ne diciamo di tutti i colori. E che stiamo a guardare le stelle, nel buio della notte. E che “tu non hai capito niente!” … e che “tu pensi che io non gliel’ho detto?” e che “hai visto che cosa ha fatto!!”… e “che cosa ha detto???” … Per noi, che chiediamo perdono e che, a volte, ce ne dimentichiamo presto. Per noi che pensiamo che le parole scritte su una perfida nuvoletta elettronica siano esattamente tutto quello che c’è dentro un uomo. Per noi, che siamo anche un po’ scemi…
Rosso.
E bianco e verde e giallo e nero e blu e tutto quello che ogni giorno possiamo vedere e fare insieme. Come l’abbiamo fatto da Giuseppe. Perché dobbiamo e vogliamo credere che ce la possiamo fare, vero Carmeliana?
Un abbraccio.
Francesco Campolo
Comunità MASCI RC 4
P.S: la vera storia del robottino, ve la racconterò un’altra volta.