Dalla ‘ndrangheta si può uscire, per sempre
Pubblichiamo un articolo scritto da Peppe Angelone, Consigliere Nazionale del MASCI e Adulto Scout della nostra Comunità MASCI Reggio C. 4, scritto per il settimanale “l’Avvenire di Calabria”.
“Dalla ‘ndrangheta si può uscire, liberarsene per sempre”
“Se proprio non potete farlo voi, almeno tenetene fuori i vostri figli”. Così don Italo Calabrò in una delle sue omelie rivolte agli ‘ndranghetisti li invitava a far si che almeno i giovani, i figli non rimanessero incastrati per sempre nelle maglie senza speranza della criminalità organizzata. Da qualche anno il Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria ha preso l’iniziativa di allontanare dalla famiglia quei ragazzi il cui destino altrimenti sarebbe già segnato, avviandoli ad un percorso di affrancamento dalla mentalità, dalla cultura e dalla schiavitù criminale. Ragazzi incolpevolmente segnati dalla provenienza da famiglie e da contesti pesantemente coinvolti negli intrecci criminali che hanno distrutto la nostra terra e la vita dei loro familiari.
Questa coraggiosa iniziativa in buona parte ascrivibile alla determinazione di Roberto Di Bella, Presidente del Tribunale per i Minorenni, sta già producendo buoni frutti. E’ di questi giorni la pubblicazione sul “Corriere della sera” della lettera di Riccardo Francesco Cordì, uno dei primi giovani a vivere questa esperienza. Così scrive Riccardo al termine del suo percorso: «Credevo che allo Stato non gliene importasse niente delle persone, lo Stato era quello che ti portava via da casa». Ma «in questi mesi ho conosciuto uno Stato diverso, che non mi ha voluto cambiare a tutti i costi, che per una volta ha cercato di capire chi ero io davvero. Non rinnego la mia famiglia», ma «ho deciso che la mia vita deve essere diversa. Ora posso scegliere. Posso puntare in alto. Ci sono tanti ragazzi come me che avrebbero bisogno di uno Stato così. Non credono che esista. Io l’ho conosciuto e scrivo questa lettera perché anche gli altri lo sappiano».
Parole chiare scritte dal rampollo di una delle famiglie più note della ‘ndrangheta nella locride. Parole di speranza, ma anche di certezza. Parole nuove riferite ad una riscoperta dello Stato e delle sue Istituzioni nelle sue articolazioni più prossime, concrete ed efficaci nel realizzare il mandato costituzionale del reinserimento sociale e della riabilitazione, della difesa dei diritti dei minori e della loro tutela; parole scritte da chi, invece, lo Stato lo aveva sempre visto come nemico, come persecutore.
Per chi, come me, da tanti anni lavora in questo campo questa felice vicenda, da un lato rappresenta senza dubbio una svolta, dall’altro è la prova che quando le Istituzioni dello Stato fanno sul serio il proprio dovere fino in fondo, con coraggio e determinazione, ottengono risultati insperati.
Questi percorsi di fuoriuscita, di tutela delle prerogative dei minori consentono loro non solo di sperimentare un rapporto diverso con le Istituzioni ma , soprattutto, di scoprire alternative possibili per la loro vita, li liberano dagli itinerari di morte o di lunga detenzione ai quali molto spesso sono destinati. Le stesse famiglie di appartenenza, o almeno una parte di esse, non sembrano così ostili e refrattarie come si poteva pensare. Soprattutto alcune madri sono sempre più sensibili e disponibili ad assecondare queste esperienze e, spesso, a condividere i percorsi di rinascita dei loro figli.
Un ruolo importante lo svolgono anche quelle realtà positive di associazionismo impegnato nel campo dell’educazione alla legalità e del contrasto alla criminalità che affiancano i ragazzi per il periodo di tempo necessario.
Non si tratta di azioni “contro” ma di azioni “con” e “per”. Si tratta di stringere alleanze con gli stessi ragazzi i quali presto comprendono che si lavora nel loro interesse e per il loro vero bene.
Altrimenti questi giovani sarebbero state le prime vittime di quella spirale criminale, che prima di attentare alla vita ed alla libertà altrui, distruggerebbe la loro.
Giuseppe Angelone