Esperienze Educative
Pubblichiamo uno scritto di Teofilo Maione – storico Capo Scout reggino e nostro A.S. nella Comunità MASCI Reggio Calabria 4 - dal titolo “ESPERIENZE EDUCATIVE”, diffuso ai partecipanti del Convegno Crescere 2.0. Sfide e frontiere dell’educazione nel nostro tempo, tenutosi a Reggio Calabria, il 15 e 16 Gennaio 2011, organizzato, tra gli altri, anche dal MASCI Regionale Calabria.
L’educare è professione, quasi missione, degli educatori. E’ professione perché l’educatore deve possedere una levatura scientifico-tecnica-culturale da porre al servizio del suo operare. All’educatore si richiede lucidità razionale, capacità di giudizio, misura, previsione, assieme ad una forte sensibilità umana e interiore. E’ missione perché di solito, solo raramente qualcuno dice “grazie”, ma anche perché il più dotto degli educatori se alle sue conoscenze non unisce una profondità d’animo che gli consenta di intuire ciò che va oltre l’immediatezza del reale, al più può essere un buon istruttore ma non un bravo educatore.
Nel bambino, nel ragazzo, nel giovane c’è l’uomo e il cittadino del domani, dunque la visione educativa non è ristretta al particolare, ma spazia nell’universale. Il “Trarre da sé il meglio di sé stesso” non è limitato al momento ma è in prospettiva futura.
Tuttavia sarebbe riduttivo e fuorviante addossare la responsabilità dell’educare al solo educatore. L’educare è un fenomeno totalizzante: educa innanzitutto la Famiglia, poi si uniscono la Scuola, la Società, la Chiesa. Se oggi lamentiamo con giusta preoccupazione una certa “emergenza educativa”, non si può non rilevare che ciò è probabilmente anche dovuto alla realtà politica, sociale e culturale del nostro tempo, a livello nazionale, europeo e mondiale.
Non è nell’intento di questo semplice libretto affrontare un’analisi socio-politico-culturale dell’età contemporanea, né si vogliono giustificare i presunti limiti dell’educare oggi.
Si cerca solo di ribadire che l’educare è il risultato della cooperazione di più agenti, che, per vie diverse, tra loro intersecantesi, dovrebbero sentire il doveroso bisogno di confluire in un unico scopo:la salvaguardia della salute fisica, morale, civica e sociale dei nostri ragazzi. Il che equivarrebbe a operare per una società migliore.
Educare
Nella tradizione pedagogica dell’Occidente, l’EDUCARE è concepito come la formazione dell’uomo, la maturazione dell’individuo, il raggiungimento della sua forma compiuta.
Pertanto, l’EDUCARE è il passaggio graduale, simile a quello di una pianta, ma libero, dalla potenza all’atto di questa forma compiuta.
L’EDUCARE richiede perciò l’adesione spontanea, la partecipazione diretta, la libera volontà di corresponsabilizzarsi in alcune scelte piuttosto che in altre.
Infatti l’universo vivente ha un percorso di crescita lineare e definito, basta scoprirlo e assecondare; l’uomo al contrario ha la libertà o la coscienza di poter operare una scelta, che ovviamente presuppone la rinuncia ad un’altra, visto che, nello stesso tempo e nello stesso luogo non è possibile muoversi contemporaneamente in due modi diversi.
Paradossalmente la libertà trova il suo limite in sé stessa, cosicché perché si attui ha bisogno del sostegno della esperienza e della ragione.
Tuttavia se educare è formare, non addestrare, la libertà ne è il contenuto fondante.
Le arti del Trivio (grammatica, retorica, dialettica) e del Quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e musica), che si chiamarono liberali, costituirono lo sfondo e il preambolo della cultura medievale, il cui fine fu però la preparazione dell’uomo ai suoi doveri religiosi e alla vita ultramondana.
La crescente industrializzazione del mondo contemporaneo rende indispensabile la formazione di competenze specifiche, raggiungibili solo mediante addestramenti particolari, che confinano l’individuo in un campo estremamente ristretto di attività e di studio.
Ciò che la società esige soprattutto da uno dei suoi membri è il rendimento nel compito o nella funzione che gli è stata affidata; e il rendimento dipende, non già dal possesso di una cultura generale disinteressata, quanto piuttosto da quello di cognizioni specifiche e approfondite in qualche ramo particolarissimo di una disciplina specifica.
E’ inutile erigersi contro di essa, contrapponendole l’ideale classico della cultura, nella sua purezza e perfezione, come formazione disinteressata dell’uomo aristocratico dedito alla vita contemplativa.
Ma sarebbe egualmente inutile ignorare o minimizzare i difetti gravissimi di una cultura ridotta a puro addestramento tecnico in un campo specifico e ristretta all’uso professionale di cognizioni utilitarie.
Questo non potrebbe chiamarsi cultura perché questa parola designa un ideale di formazione umana completa, cioè la realizzazione dell’uomo nella sua autentica forma o natura umana.
Competenze specifiche, abilità particolari, destrezza e precisione nell’uso di strumenti, materiali o concettuali , sono cose utili, anzi indispensabili, alla vita del singolo nella società nel suo complesso, ma non costituiscono neppure lontanamente il surrogato di una cultura intesa come formazione equilibrata ed armonica dell’uomo come tale.
L’esperienza dimostra gli inconvenienti di un’educazione incompleta e specializzata.
Il primo inconveniente:
E’ quello di un permanente squilibrio della personalità umana, sbilanciata in un’unica direzione e accentrata intorno a pochi interessi e quindi resa incapace di affrontare situazioni o problemi che per per poco vadano al di là di tali interessi.
Questo squilibrio, già gravissimo dal punto di vista individuale (esso può produrre, e produce spesso, a certi limiti, svariate forme di nevrosi) è altrettanto grave dal punto di vista sociale giacché impedisce o limita fortemente la comunicazione tra gli uomini, chiude ognuno in un proprio mondo ristretto, senza interesse né tolleranza per quelli che ne sono al di fuori.
Il secondo inconveniente:
E’ che esso lascia disarmati di fronte alle stesse esigenze che nascono dalla specializzazione delle discipline.
Quanto più infatti questa specializzazione viene portata a fondo, tanto più divengono numerosi i problemi che nascono nei punti di contatto e d’intersezione tra discipline diverse; e questi problemi non possono essere affrontati nel dominio di una sola di esse e con i soli strumenti che essa offre.
In altri termini, la stessa specializzazione, che è certamente un’esigenza imprescindibile del mondo moderno, richiede, ad un certo grado del suo sviluppo, incontri e collaborazione tra discipline specializzate diverse:incontri e collaborazione che perciò vanno al di là delle competenze specifiche ed esigono capacità di comparazione e di sintesi che la competenza specifica non fornisce.
Il problema è conciliare le esigenze della specializzazione con quella di una formazione umana totale o almeno sufficientemente equilibrata.
Non si tratta di contrapporre un gruppo di discipline ad un altro e di far valere, per es., le discipline storiche o umanistiche, di fronte alla specializzazione delle discipline “naturalistiche”.
Questo sarebbe tanto più improprio in quanto le stesse discipline cosiddette “umanistiche” non si sottraggono al fato incombente della specializzazione ed esigono anche esse un addestramento specifico per essere intese e proficuamente coltivate.
Cultura
Una cultura generale non può essere costituita da nozioni vacue e superficiali, che non susciterebbero interesse e non contribuirebbero quindi ad arricchire la personalità dell’individuo e la sua capacità di comunicazione con gli altri.
Una sufficiente caratterizzazione di cultura generale che si preoccupi della formazione totale e autenticamente umana dell’uomo, dovrebbe essere una cultura “aperta” cioè tale che non chiude l’uomo in un ambito chiuso e circoscritto di idee o di credenze.
L’uomo colto è l’uomo dallo spirito aperto e libero che sa comprendere le idee e le credenze altrui anche quando non può accettarle né riconoscerne la validità.
Una cultura viva e formativa deve essere aperta all’avvenire, ma ancorata al passato.
L’uomo colto è colui che non si sgomenta di fronte al nuovo né ne rifugge, ma sa considerarlo nel suo giusto valore, riconnettendolo col passato e mettendone in luce le somiglianze e le disparità.
Infine cultura è la capacità di effettuare scelte o astrazioni che consentano confronti, valutazioni complessive e perciò orientamenti di natura relativamente stabile.
Alla formazione di una cultura così intesa, la considerazione storico-umanistica del passato e lo spirito critico e sperimentale della ricerca scientifica sono egualmente necessari.
Il problema è un progetto di lavoro e di studio coordinato che arricchisca l’orizzonte dell’individuo e mantenga o reintegri l’equilibrio della sua personalità.
Educare, come ben sottolinea il Prof. N. Abbagnano, significa aiutare l’uomo perché realizzi la sua autentica forma , con equilibrio e armonia.
A ciò contribuisce una cultura viva e formativa aperta al futuro, ma ancorata al passato.
La competenza e il rendimento, requisiti per una società avanzata e industrializzata, devono innestarsi su una personalità forte, consapevole, capace di scelte razionali e motivate da virtù civiche e morali, oltre che, ovviamente, da scopi utilitaristici per sé e per la comunità.
Una parola sempre più in disuso è “formazione” a vantaggio di “competenza” e “rendimento”.
Se l’educare facesse riferimento al possesso tecnico di uno strumento, manuale o mentale che fosse,
cioè alla capacità di saperlo usare alla perfezione, sarebbe esclusivamente mirato ad un campo specifico di applicazione.
Al contrario l’educare investe tutto l’uomo nella completezza del suo essere, costituendo il presupposto del suo operare.
Maggiore è la personalità che si esprime, più elevato è il senso del fare e del produrre.
E’ presente nella società contemporanea una netta divisione tra “formazione educativa”, che richiede i suoi tempi non brevi, a volte complessi, e l’acquisizione di una capacità tecnica, più immediata e soprattutto impiegabile nella sfera sociale.
Cosicchè tra “formazione educativa” e “lavoro” si è determinata una dialettica negativa per cui l’una sembra escludere, o ritardare, l’altro; in apparenza si presentano come opposti inconciliabili.
Al contrario il lavoro è qualificato dalla cultura, e la cultura è caratterizzata dal lavoro.
Pertanto formazione e lavoro sono intricati e interdipendenti, per cui il lavoro non si brutalizza, né la cultura rimane vuota e senza significato.
La formazione dell’uomo e del cittadino è propedeutica alla dignità del lavoro e ad una società migliore.
PARTE SECONDA
Oggettività dell’educare
L’educare è un auto-agire oggettivo, perché oggettivo è il soggetto dell’educare.
L’essere umano è un Valore assoluto, per sua natura potenzialmente capace di esprimere al massimo le qualità di cui è dotato.
Si tratta di porlo nelle condizioni più idonee perché sviluppi le sue doti e divenga, sempre più se stesso; non come altri vogliono che sia.
Dunque un ambiente libero e autonomo, privo di vincoli o artefici, in cui l’intelligenza, la volontà e la ragione possano interagire elevandosi dall’individualità alla persona, dalla persona alla società.
Educare è valorizzare, capitalizzare ogni risorsa positiva dell’uomo, le cui capacità sono un tesoro inestimabile, non soltanto nell’immediato ma in una prospettiva futura.
La prima cosa è che l’educatore abbia il massimo rispetto della dignità umana, ne assecondi l’evoluzione di crescita, elimini gli ostacoli che vi si contrappongono.
La seconda cosa è indirizzare l’azione educativa ai Valori, di per sé irraggiungibili, probabilmente ostici ad un sistema di vita opportunista e immediata, ma certamente validi per stimolare a dare il meglio di sé.
Amicizia, lealtà, generosità, impegno, correttezza, merito, professionalità, costituiscono il lievito per una società giusta e sicura, di cui i giovani sono indubitabile garanzia.
Preoccupazione primaria dell’educare è perciò l’uomo, lo sviluppo delle sue qualità fisiche, morali e sociali e non la società della quale e nella quale l’uomo è chiamato ad operare e ad esserne fattivamente responsabile.
Se la società richiede tecnici, specialisti, linguisti o altro non è compito dell’educare provvedere, ma di apposite agenzie di istruzione qualificata.
Entrare nel mondo del lavoro con una personalità già ben delineata, che consenta di operare una scelta la più affine alle proprie inclinazioni, consente di soddisfare il saper fare e di dare al lavoro stesso la dignità che merita.
Tanto più l’uomo è compiuto nella totalità delle sue facoltà, tanto più la società e il lavoro ne trarranno beneficio.
C’è un tempo per la formazione, c’è un tempo per il lavoro; confondere o peggio contrapporre i due momenti significa rendere un pessimo servizio ai ragazzi e, indirettamente, alla società.
L’autoeducazione
L’educare è auto-crescita, tuttavia l’educatore non è un corpo estraneo da aggirare o una controparte da lottare, è soprattutto un ispiratore di Valori a cui tendere in misura dei propri talenti; è un sostegno da cui ricavare fiducia e coraggio quando le forze sembrano scemare.
L’educare richiede l’adesione libera, spontanea e concretamente fattiva; non può essere imposto dall’esterno.
Si tratta di divenire se stessi, esternando tutta l’umanità e l’interiorità di cui si è in possesso, traducendole in azioni reali, visibilmente tangibili, prescindendo da inevitabili condizionamenti artificiosi.
Il soggetto da educare è artefice di se stesso, ma deve volerlo liberamente.
Il più professionale degli educatori se non ha il carisma o il buon senso di farsi accettare spontaneamente, al di là di facili paternalismi moralistici, fallisce il suo compito.
Per “professionale” intendo un profilo scientifico-socio-culturale, che testimoni una distinta personalità, unitamente alla capacità di scendere a livello dei ragazzi, conservando, senza mai farlo pesare, lo stato di adulto.
Maggiore è la stima che l’educatore riesce a conquistare, maggiore sarà l’impegno dei ragazzi:la fiducia ai ragazzi è dovuta, l’educatore deve meritarla.
Comunque mai avere la pretesa di porsi come modello da imitare, sarebbe come sovrapporre la propria , alla individualità altrui, limitandola o schiacciandola.
Ogni individuo è diverso dagli altri, cosi come diverso è l’approccio ai Valori, paritaria invece è la tensione di tutti verso di essi.
In ciò si esplica lo sforzo richiesto dall’educare.
Il rispetto
Ne consegue il dovuto rispetto delle singole individualità, che pur nella diversità di carattere, di carismi, di atteggiamenti, hanno eguale assoluto valore.
Nel rapporto tra adulto e giovane, chi il rispetto deve meritarselo è l’adulto, la cui autorità non può imporsi per un mandato esterno, anche se istituzionale, ma deve nascere, con naturalezza e spontaneità, dalla sua personalità netta e distinta, matura e consapevole, positivamente operativa e originale.
La fiducia reciproca che si instaura tra giovane e adulto consente di superare, o per lo meno dominare, la problematicità del processo dialettico che determina l’educare, il cui risultato non è mai scontato in partenza, è soggetto al fallimento, e comunque è verificabile solo nel tempo.
Di certo una personalità debole sul piano umano e sul piano culturale difficilmente riuscirà ad avere un aggancio operativo che possa stimolare, invogliare, entusiasmare verso traguardi che devono conquistarsi con fatica, e qualche volta, rinunce.
Si può sempre ricorrere alla forza, all’imposizione perentoria, ottenendo però il contrario dell’educare, cioè il rifiuto o la ribellione.
Non è pensabile un’azione educativa senza che vi sia la partecipazione libera, consenziente, fattiva di chi di tale azione è il fattore principale.
L’ambiente
Non di poca importanza è l’ambiente in cui si svolge l’azione educativa, soprattutto se è al chiuso.
C’è da tutelare la salute fisica e determinare una situazione in cui ci si possa muovere agilmente, trarne motivo di crescita, starci a proprio agio.
Deve essere ampio, illuminato, libero da inutili suppellettili; insomma non deve dare l’impressione di sentirsi chiusi in gabbia.
Il fatto che tale ambiente sia diviso tra molti, dunque lo spazio sia inevitabilmente ristretto, non deve creare sofferenza ad alcuno.
Bisogna abituarsi ad autogestirsi organizzandosi al meglio, senza per questo invadere lo spazio altrui; l’autodisciplina è il miglior viatico per sentirsi liberi e aver rispetto degli altri.
Detto questo, bisogna anche tener conto che un ambiente sciatto, trasandato, vecchio e maltenuto non invita certo a dare il meglio di sé, ad affrontare con gioia la propria crescita e le prove che essa comporta.
Diverso se l’educare si potesse svolgere per intero all’aperto, ovviamente non in luoghi nocivi, ma assolutamente salubri.
Il gran libro della natura, da solo, potrebbe sostituire tutti gli altri; si è però ai limiti dell’utopia.
Quando si parla di ambiente si intende anche ciò di cui si è circondati in famiglia, a scuola, nella società.
Il problema si complica: se un luogo al chiuso, idoneo all’educare, lo si può tecnicamente costruire, l’ambiente sociale circostante in cui si svolge la giornata lo si deve accettare così com’è, ed è difficilmente modificabile.
A ciò si aggiunge lo spirito di osservazione dei più piccoli, completato dalla perspicacia di giudizio dei più grandetti.
La società contemporanea è sempre pronta a rivendicare diritti, peraltro garantiti dalla Legge; è totalmente sparita la parola doveri, anzi colui che antepone il dovere al diritto viene sbeffeggiato.
Ancora più discutibile quando la rivendicazione di un diritto, o presunto tale, in nome della libertà, sfocia nell’abuso e nella violenza.
Per es., si rivendica il diritto allo studio, in realtà si studia poco; si rivendica il diritto al lavoro, ma quando si ha la fortuna di averlo, lo si snobba senza timore.
I grandi e piccoli mezzi di comunicazione sono sempre pronti ad enfatizzare gli scandali e le brutture di cui non è priva una società sempre più allargata e multietnica.
Eppure non mancano le testimonianze di attaccamento ai propri doveri, di esaltazioni positive di vita e operosità; non fanno però notizia, ascolto o vendita.
Le strutture e la copertura finanziaria sono essenziali per favorire lo sviluppo di idee, progetti, propositi di miglioramento della qualità della vita; non possono mai sostituire l’impegno, la volontà , lo sforzo personale di lavoro, di ricerca, di approfondimento.
La macchina è il risultato del genio umano, dunque una sua conquista per maggiore benessere e utilità; tuttavia è divenuta talmente importante da far apparire l’uomo ad essa secondo invece che primo.
Sono solo alcuni dati della realtà in cui vivono i nostri giovani e da cui sono inevitabilmente influenzati, vanificando l’invito a dare alla loro vita un indirizzo improntato a virtù civiche, morali e sociali.
Tale situazione ha
un’incidenza fortemente negativa sull’educare, che propone e indica Valori da vivere e testimoniare, ma che non trovando riscontro nel quotidiano sociale sfumano nell’astrattezza dei buoni propositi.
Il mondo adulto dovrebbe sentire il peso della responsabilità verso i più giovani, al contrario persegue l’utile e il profitto con ogni mezzo e, cosa più grave, ne esalta le conseguenze.
Pertanto l’emergenza educativa di cui si parla è anche dovuta alle ristrettezze strutturali e alle risorse economiche limitate, senza dimenticare il clima sociale, politico e culturale molto più in emergenza dell’educare.
Libertà
La libertà è insieme strumento e fine dell’educare:è strumento perché l’azione educativa è sempre propositiva, mai impositiva; è fine perché tende a rendere libero il soggetto, cioè padrone di se stesso e consapevole degli altri.
L’uomo è infatti un essere sociale, cresce e agisce in un contesto comunitario, (la Famiglia, la Scuola, la Società), la sua libertà vale quanto quella degli altri, deve averne rispetto nella stessa misura in cui ne ha per se stesso.
La libertà assoluta è di Dio, non certo degli uomini.
Da qui l’esigenza di educarsi alla libertà, che non sarebbe altrimenti possibile se non respirandola nel corso dell’iter educativo, attraverso l’esperienza positiva o negativa di decisioni o scelte possibili.
Potremmo definire la libertà “una possibilità di scelta” che si presenta a chiunque si trovi nelle condizioni opportune, essa si risolve nei limiti e nelle condizioni che, in un campo e in una situazione determinata, possono rendere effettiva ed efficace la possibilità di scelta dell’uomo.
Fare le proprie scelte con razionalità e giudizio porta a rendersene responsabili nel bene o nel male.
L’importante è abituarsi a trovare un equilibrio tra volontà, sentimento e ragione; a questo mira l’educare.
Infinita la problematicità della libertà:
• Il soggetto ha davvero la capacità di volere o non volere, in un certo momento, un certo atto?
• Questo atto può davvero realizzarsi in rapporto al mondo esterno, che può essere favorevole od ostile alla volizione umana?
E’ fuori dubbio che la interiore facoltà di scelta a poco vale se il mondo esterno ne impedisce l’attuazione pratica.
Pertanto la libertà interiore è proporzionale alla possibilità che il mondo fisico e sociale concede.
Di certo dal rapporto che si instaura tra il libero volere interiore e l’attuazione di quanto interiormente deciso, prendono senso parole come bene e male, dovere, morale, coscienza etica, impegno, responsabilità personale.
Poi c’è la questione morale:essa consiste nella scelta di fare il bene o di fare il male.
• Ma ci si può dire liberi quando si sceglie di fare il male?
Ancora più profondo e inesplicabile è il rapporto tra la libera volizione umana e l’onnicausalità divina.
Attorno alla libertà ruotano un’infinità di problematiche, tutte da risolvere nel proprio io individuale; per questo motivo l’aspetto più qualificante dell’educare consiste nel valorizzare la coscienza nella totalità del suo potenziale interiore.
“Trarre da sé il meglio di se stessi”, ”Essere se stessi”, è la più possibile delle espressioni di libertà.
L’educare richiede un grande impegno di volontà e ragione verso Valori, come tali assoluti, di fronte ai quali i limiti umani non possono che porsi con umiltà, gradualità e progressione, nella certezza
che, pur irraggiungibili, possono comunque essere avvicinati e soprattutto concretizzati in atti nella vita quotidiana delle relazioni interpersonali e sociali.
Senza però ricorrere a forzature o a coercizioni, che ben che vada si tradurrebbero in inutili moralismi, di per sé controproducenti e dannosi.
Ci si educa alla libertà vivendola, non predicandola; conquistandosela tappa per tappa con tenacia, senso della misura, responsabilità, consapevolezza della libertà altrui, di cui bisogna avere rispetto.
Ci si abitua così a gestire il proprio spazio con piena autonomia e profitto, senza alcuna invadenza o arbitraria prepotenza.
Educare alla libertà non è soltanto autorealizzarsi come uomo e cittadino, ma abituarsi alla legalità e alla democrazia.
Ogni individuo è un essere unico e irripetibile, la libertà risiede nella sua dignità di persona, deve soltanto esprimerla e valorizzarla all’esterno.
L’esercizio della libertà è ciò che differenzia l’educare dall’addestrare.
Addestrare significa ammaestrare, esercitare, allenare, cioè rendere abile in un particolare settore della Società:dallo sport al lavoro, dal tempo libero alle armi, ecc..
Educare è invece promuovere l’uomo nella totalità del suo essere, coinvolgendo tutte le sue facoltà di volontà, intelligenza, ragione e sentimento.
L’educatore non è un addestratore, ma un testimone di vitalità umana, culturale e professionale, che sfugge ad ogni meccanicismo necessitato e fa della libertà un suo costume di dimensione civile e solidale.
…”non voglio essere servito perché non sono impotente, dobbiamo aiutarci gli uni e gli altri , perché siamo esseri socievoli”, ecco ciò che bisogna conquistare prima di sentirsi veramente liberi”.
(M. Montessori)
L’autorità
Può apparire paradossale:al principio di libertà è legato il principio di autorità.
Parlare di autorità, al giorno d’oggi, è quasi temerario e presuntuoso; l’autorità pur detenuta in forma legittima e istituzionale viene esercitata con preoccupazione e titubanza.
Tale è l’idiosincrasia verso l’autorità da scivolare nella deresponsabilizzazione, nell’approssimazione, nel semplicismo.
Viviamo infatti in una Società in cui tutti e nessuno siamo responsabili, l’errore è sempre di altri o a causa di altri, non meglio identificabili.
I genitori lamentano il poco ascolto dei figli, la scuola il poco rispetto verso i professori, la società addebita a scuola e famiglie il poco senso civico dei giovani, che a loro volta manifestano sofferenza disagio, qualche volta, ribellione.
E’ difficile orientarsi in questa selva di torti e ragioni, se non concluderne, con un certo imbarazzo, che l’autorità, cioè la responsabilità, legittimamente detenuta da genitori, scuola e società o non è per nulla esercitata, o è esercitata in modo poco appropriato.
Una giustificazione è che i tempi sono cambiati; che la democrazia è apertura verso la libertà e ogni autorità ne e’ ostacolo e limite; dunque nessuna inibizione o censura
Se questa concezione è nefasta sul piano sociale perché mette in crisi la stessa autorità della legge, sul piano educativo diventa distruttiva.
Un educatore privo di autorità, cioè di personalità, quanto meno subirebbe la vivacità e l’esuberanza dei giovani che diverrebbero guida invece di essere guidati; così come la scuola e la società prive di autorità, cioè di dignità, si trasformerebbero in una caotica babilonia.
Autorità non è da confondere con autoritarismo, forza, potenza, supremazia, libertà di abuso e di costrizione.
Esiste l’autorità dello Stato, della Chiesa, della Legge, delle Istituzioni, della persona.
Bisogna riconoscere che tale autorità, legittimamente esercitata, non sempre lo è validamente per cui non ispira stima, fiducia, credito, minando il suo prestigio e la sua validità.
Non basta ricevere un incarico per affermarne il potere, cioè il servizio, bisogna dimostrarne la capacità, la competenza, il merito o tale incarico si delegittima da sé, salvo che non lo si eserciti con presunzione e autoritarismo sfrontato.
L’autorità formalmente riceve legittimità dalla Legge, ma il suo potere di fatto si sgonfia se non supportato dal merito e dalla personalità.
Il problema è che nella nostra società non sempre si trova l’uomo giusto al posto giusto, prevale spesso l’opportunità politica, sociale o parentale, a danno della professionalità dell’impegno.
Comunque sul piano educativo la mancanza di autorità, cioè di prestigio, di merito, di cultura, di umanità svuota del suo contenuto più profondo l’educare.
Capita che l’educatore si riduca ad una sorta di custode a salvaguardia di zuffe o disordini cosicché l’autorità non soltanto perde il suo significato, ma genera ribellione.
La lunga esperienza nel mondo giovanile, al contrario, mi spinge ad affermare che i ragazzi cercano l’autorità, ne subiscono il fascino, ne avvertono protezione.
Però non l’autorità che discende dall’alto, ma che deriva dal merito, dalla competenza, dalla dignità per cui non ha bisogno di imporsi in modo artificioso e d’ufficio; si fa spontaneamente accettare riscuotendo immediatamente pieno credito
L’autorità, dunque, non ostacolo alla libertà, ma suo supporto necessario perché ne è la garanzia.
Più l’educatore è autorevole, cioè dimostra di valerne la responsabilità, maggiore è il credito e la fiducia che riscuote.
Il pressappochismo, la confusione, o peggio lo sbandamento del panorama giovanile sono dovuti alla mancanza di un sicuro punto di riferimento costituito, appunto, da una figura prestigiosa e meritevole che possa catalizzare interesse e curiosità.
L’autorità scaturisce dall’operosità dei propri talenti, dall’espressione compiuta della personalità, dalla visione razionale delle cose e del mondo.
I ragazzi ne sentono il bisogno, la accettano liberamente, solo però se ne intuiscono il merito; la rifiutano se viene imposta loro in forma artificiosa e forzata.
“L’antica lite tra la libertà e l’autorità è una guerra tra due orgogli:fra l’orgoglio che adora la volontà propria, e l’orgoglio che calpesta la volontà altrui.
Umiliate l’uno e l’altro e la pace è fatta.
Allora la libertà è la coscienza che rispetta la legge; e l’autorità è la legge che rispetta la coscienza.”
(R. Lambruschini).
L’identità
Educare oggi, in una società avanzata nelle scienze, nelle tecniche, nelle comunicazioni, dovrebbe essere, se non più facile, di certo più proficuo, alla luce dell’ausilio che l’educare può trarre dal progresso in tutti i campi dello scibile umano.
Inarrestabile è la spinta a vivere pienamente il presente, a cogliere a piene mani i segni del tempo, ponendosi alle spalle il passato.
La rapidità dei cambiamenti evolutivi della società del terzo millennio non consente un momento di respiro e di riflessione, per cui meglio assecondare la corrente per non correre il rischio di restare indietro.
Così facendo si incappa in un altro rischio, quello di trasformarsi in una rotella, magari importante, di un colossale ingranaggio che se si fermasse potrebbe finire in un disastro.
In questa visione cosmopolita, diciamo di essere cittadini del mondo, non di una città o di una nazione.
Il passato è ormai superato, bisogna vivere intensamente il presente per una nuova prospettiva futura.
Risultato, si vagheggia un’identità diversa dai contorni non meglio delineati e incerti e pertanto misteriosa ai più, nel frattempo si è rinnegata la propria ritenuta superata e inutile.
I legami storico-culturali da cui si deriva non contano, la parola d’ordine è rinnovamento a tutti i costi.
In attesa che questa nuova identità si materializzi, viviamo alla giornata senza sapere chi siamo e perché.
Non credo sia possibile, opportuno, generoso o intelligente che un popolo rinunci alla sua storia, alle sue tradizioni, alla sua cultura, alle sue radici, in nome di un qualcosa che deve avvenire, ma nessuno sa come, quando e dove.
Semmai è auspicabile un mondo di pace e di giustizia in cui tutti i popoli della terra si sentano fratelli, ma conservando ognuno il tesoro del proprio passato non con cieca gelosia, ma come contributo originale al bene dell’umanità.
Nazioni come la Francia, la Germania, l’Inghilterra o gli Stati Uniti d’America conservano, nella buona o cattiva sorte, la fierezza della loro identità nazionale, a differenza dell’Italia che nella ricorrenza dei centocinquantanni dell’ Unità e nonostante un enorme patrimonio culturale invidiato dal mondo, grazie all’acuto ingegno di alcuni intellettuali d’avanguardia non sa fare altro che porre in risalto presunti mali atavici aggravati dal tempo.
Mi è capitato di leggere Mazzini come antesignano del terrorismo e Garibaldi come un comunissimo brigante assetato di sangue, per non citare altri personaggi del nostro Risorgimento.
L’unità d’Italia viene descritta come il male peggiore, ammesso e non concesso che i nostri giovani
ne abbiano sentito parlare, e comunque va revisionata con occhi più brillanti!…
A nulla valgono gli sforzi del nostro Presidente della Repubblica, a fronte dei nostri illuminati accademici, qualcuno dei quali si dice pronto a lasciare l’Italia per vergogna, finora però non mi risulta sia accaduto.
Come e quale identità nazionale si può rinsaldare se si disprezza la propria Storia, la propria radice millenaria, il proprio patrimonio di civiltà, apprezzato e studiato all’estero ma ripudiato in Patria?
Se tutto questo ha la sua valenza negativa sul piano civile e sociale, rispetto all’educare assume carattere dannoso e fuorviante.
L’educare richiede riferimenti forti e credibili dai quali attingere speranza per crescere e migliorarsi, facendo dell’esperienza passata il trampolino di lancio per un avvenire migliore.
L’identità è ciò che distingue e nello stesso tempo affratella; che viene da lontano ma rimane attuale per il carico di virtù civiche e valori umani e spirituali che testimonia; che con pari dignità si pone accanto e in collaborazione agli altri popoli.
Identità è infatti sinonimo di uguaglianza, cioè di garanzia a tutti i cittadini di eguali diritti senza distinzione di razza, di religione, di sesso, di classe sociale, pur nella diversità di provenienza storica e culturale.
Anzi maggiore è la coscienza identitaria, più forte è il legame che riesce ad unire e solidarizzare.
L’educare, in virtù della sua funzione promotrice verso Valori da testimoniare quotidianamente nei rapporti interpersonali, non può non attingere dalle proprie radici di cultura e civiltà.
Se tali radici vengono messe in dubbio, continuamente “revisionate” e poste in discussione, si finisce col minare la saldezza dell’identità che è il segno distintivo di una nazione e di un popolo.
Non è una lotta per la supremazia di una civiltà su un’altra; ma l’assoluto rispetto che deve aversi per se stessi e per gli altri in un rapporto di comune solidarietà e reciproco sostegno.
L’incertezza, il “precariato” dell’essere uomo e cittadino senza una precisa identità storica e culturale mina alle basi il processo educativo, che ha sempre bisogno di supporti certi e di interessi superiori.
PARTE TERZA
La Famiglia
E’ l’istituzione di base della società; è il luogo primario e privilegiato dell’educare.
In famiglia il ragazzo trascorre il maggior numero di ore della giornata, partecipa in forma dialogica e fattiva ai bisogni della comunità, vive concretamente la sintesi di tradizione passata e apertura al nuovo che incalza, riceve stimoli e incoraggiamenti per un luminoso avvenire.
La famiglia è l’habitat naturale dell’educare, anche se ad essa si uniscono la scuola, la società, la Chiesa.
Sempre che in famiglia si respiri un’aria serena, operosa, collaborativa e sempre mirata al positivo invece che al negativo.
Il problema è che spesso la conflittualità prevale sull’armonia, il rapporto inter-relazionale interno, ma anche esterno, si complica , si deteriora, ha il sopravvento, a danno particolarmente dei componenti più giovani.
Si teorizza l’avvento di una nuova concezione della famiglia più aperta, più impegnata sul piano lavorativo, non ruolizzata, nel senso che i genitori si muovono su un piano egualitario sia professionale che genitoriale, il che si giustifica sia come bisogno economico, sia come pari dignità professionale dei coniugi.
La vecchia concezione della famiglia in cui mamma e papà ricoprivano ruoli diversi sintetizzandosi sul bene dei figli e ne pretendevano rispetto, non esiste più o si è affievolita di molto.
Si parla di famiglia aperta, non più vincolata da un ordine sacro, legalizzata civilmente, composta da due persone non necessariamente di sesso diverso.
Non di rado papà e mamma, impegnati nel loro lavoro, garantiscono ai figli sostentamento e benessere, ma ne affidano la crescita e la cura a terze persone, ovviamente affidabili e capaci.
I clan familiari di antica memoria, che nelle grandi ricorrenze si riunivano attorno ad un grande tavolo sono quasi spariti del tutto:si vive ormai sparsi per il mondo, il lavoro assorbe gran parte del tempo, si è stanchi e affaticati, ognuno si rilassa come meglio crede e nelle forme più diverse.
Quella che un tempo si chiamava unità familiare è solo un bel ricordo del passato.
La conseguenza sul piano educativo è che il ragazzo ciò che non trova in famiglia lo cerca altrove, ed è una fortuna se si imbatte in buone amicizie, ambienti di crescita positivi che ne apprezzino le qualità e ne favoriscano lo sviluppo.
Tuttavia la famiglia non è sostituibile in alcun modo, la sua responsabilità educativa nei confronti dei figli, va ben oltre il dovere di assicurare loro una casa e il benessere.
La scuola, la chiesa, la società possono e debbono stare accanto alla famiglia, credere che possano sostituirsi ad essa è inammissibile, non tanto tecnicamente, quanto sul piano educativo.
Tuttavia esiste ancora la famiglia che è attenta alla crescita educativa dei figli, che ne fa una scelta prioritaria su ogni altra cosa, che coopera con la scuola, la società, la chiesa.
Sono quei ragazzi che affrontano serenamente i loro impegni e ottengono validi risultati nello studio, nel tempo libero, nella vita.
Ci sono poi le famiglie eccessivamente protettive al punto di non lasciare il benché minimo spazio di libertà alle scelte dei propri figli, generalmente sopravalutati e perciò costretti a dare più di quel che possono; così come esistono le famiglie allegramente lassiste, che in nome di una falsa modernità, concedono carta bianca ai loro figli, disinteressandosene quasi completamente.
Lontanissima l’idea di chi scrive di permettersi un qualche consiglio; forse però il vecchio “giusto mezzo” potrebbe considerarsi opportuno.
Di sicuro l’educare non può prescindere dall’apporto familiare che è sempre la base di partenza da cui partire per avviare un itinerario educativo.
La crisi, o se si preferisce, l’evoluzione dell’istituto familiare nella società contemporanea, non agevola il processo di crescita dei ragazzi, gravandolo di una problematicità estranea alla sua natura.
La scuola
Subito dopo la famiglia, nella responsabilità educativa viene la scuola, la quale promuove e accompagna, durante l’intero ciclo didattico, infanzia, elementare, media primaria e secondaria, la crescita culturale, sociale, civica e morale dei ragazzi.
Lo scopo è dar loro una visione razionale della realtà che consenta di operare delle scelte consapevoli, ponderate e tali da risponderne in prima persona.
Gli strumenti sono le varie discipline, i fini valoriali quelli che emergono dal ricco patrimonio storico, letterario, scientifico, artistico e religioso nazionale, europeo e mondiale.
L’istruzione scolastica non è fine a se stessa, ma tesa alla valorizzazione della personalità, si diceva una volta:la scuola istruisce educando, educa istruendo.
I problemi inerenti alla scuola italiana sono tanti:strutturali e didattici, economici e burocratici, formali e sostanziali.
Una cosa è quanto mai chiara e netta:la scuola nella sua concretezza è l’insegnante e lo studente nella loro piena libertà operativa.
Quando l’insegnante è “bravo”, in un modo o nell’altro lo diventa anche lo studente, purchè l’uno e l’altro siano messi nelle condizioni di potersi esprimere al meglio rispetto alla loro diversa ma unitaria funzione.
Da questo punto di vista la scuola italiana, nonostante tutto, non credo possa considerarsi seconda ad alcuno; i problemi però ci sono, ne cito alcuni.
— trenta alunni per classe non consentono un impegno di qualità, si possono tenere a bada, ma non possono essere seguiti per quanto ne hanno bisogno.
Ogni ragazzo è una realtà per se stante:c’è chi ha maggior bisogno di riflettere, chi è più pronto ad intuire il significato delle cose, chi ha forza di volontà e di attenzione, chi invece è più debole e meno resistente al ritmo della lezione.
Non esiste il ragazzo cretino, l’intelligenza è dote comune, si tratta solo di poterli seguire individualmente in base alle singole esigenze; la lezione è uguale per tutti, ma diversificato è l’approccio dei singoli.
L’insegnante dovrebbe essere in grado di farsi capire da tutti, cioè far si che la lezione abbia i suoi effetti positivi per l’intera classe.
Questo è oggettivamente molto difficile, considerato anche il tempo a disposizione e l’obbligo, o la necessità , di portare avanti il programma.
Ne risente la qualità dell’insegnamento, in qualche modo attutita, per chi può, dal ricorso alla lezione privata.
— In questi ultimi decenni si è fatta gravare sulla scuola tutta una serie di problematiche, chiamiamole sociali, dalla legalità all’energia, dalla salute al tempo libero, dalla politica all’economia, dal lavoro alla pace, dallo sport all’arte, come se la scuola fosse la sola agenzia dell’avvenire dell’universo.
Ora nessuno può negare l’enorme valenza vitale che tali tematiche racchiudono in sé per la salute del genere umano, tuttavia credo sia onesto riconoscere che per essere razionalmente affrontate richiedano una cultura di base ed una maturità di giudizio che è indispensabile.
Tale cultura di base il cui fine è la capacità di giudizio è chiamata a darla la scuola, e dalla scuola, per i propri figli, la pretendono le famiglie e la società, direi con ragione.
Ma la scuola deve essere posta in condizione di svolgere il suo mestiere senza pretendere di snaturarla, catapultandola in ambiti la cui primaria responsabilità è, per istituzione, di altri.
L’educare non può essere relativo a bisogni e opportunità particolari.
Un’ultima osservazione:viviamo un tempo in cui i rapporti tra i popoli si sono intensificati; nostri giovani cercano e trovano lavoro all’estero; la conoscenza di almeno due lingue straniere è una necessità pratica per le giovani generazioni.
Giusto che la scuola italiana ne prenda atto e provveda nel merito.
Ma tutto questo senza dimenticare la lingua italiana, la cui scarsa conoscenza traspare evidente non dal ragazzino delle elementari, ma addirittura dai possessori di un titolo di laurea.
Si fa un gran parlare delle lingue straniere, e a giusta ragione, tralasciando però l’importanza che la lingua madre assume quale segno identitario e culturale di una nazione.
Indispensabile in una società sempre più tecnicamente avanzata l’attenzione alle discipline scientifiche; ciò non limita lo spazio che è dovuto alla lingua italiana.
La scuola è spesso nel mirino dell’opinione pubblica, non sempre riscuote consensi, tuttavia rappresenta il mondo giovanile italiano, è come dire che ha la responsabilità del futuro della nazione, pertanto va aiutata e sostenuta e soprattutto bisogna averne fiducia.
La società
E’ l’insieme di tutti gli esseri umani, in quanto uniti da vincoli naturali e da interessi generali comuni.
La famiglia, la scuola, la Chiesa ne sono settori importanti, nella misura in cui riescano ad incidere produttivamente nel tessuto sociale e non ne rimangano passivamente condizionati.
Per questo motivo l’educare, col suo elevare l’individuo alla dignità di persona , riveste una notevole rilevanza umana e sociale.
L’uomo è nato per vivere assieme agli altri uomini ed è chiamato a collaborare operando per la sua e l’altrui felicità, con generosità, lealtà, spirito di servizio.
Non di rado però rimane schiacciato dalla molteplicità e suo malgrado è costretto ad assecondare la corrente per non isolarsi.
Serve perciò una forte personalità, capace non solo di autodominio, ma anche di avere una larga visione del bene comune e per esso prodigarsi in atteggiamento dialettico con la comunità.
Altrimenti non rimane che lasciarsi passivamente trascinare, praticamente annullandosi.
E’ nota l’influenza che esercita la società sui comportamenti, sui costumi, sulle scelte personali.
Stampa, cinema, televisione, internet, ecc., nati quali strumenti al servizio dell’uomo, si sono tanto tecnicamente evoluti da far apparire l’uomo ad essi subordinato, e da dominatore si ritrova dominato.
D’altra parte è comprensibile chenella società industrializzata vitale sia l’economia e lo sviluppo della tecnica, dunque il progresso scientifico.
Il che non è un male, considerato che il progresso è frutto del genio umano ed è finalizzato al suo maggior benessere, purché non lo si assolutizzi, relativizzando l’uomo.
La società contemporanea vanta rispetto a quella passata , una situazione di maggiore agiatezza e facilità di vita, grazie alle nuove tecnologie e all’avanzamento della scienza, oltre che ad un contesto politico di democrazia e di libertà, per quanto travagliato e discusso.
Tuttavia l’educare fa leva sull’onestà, sul merito, sulla moralità, sulla legalità, sul rispetto, sulla misura, cioè sui Valori; la società invece spinge al profitto, al consumismo, alla ricchezza, all’opportunità, al potere per il potere.
L’evidente contrasto porta ad un conflitto che in genere si risolve a vantaggio della società, minimizzando o cancellando l’operatività educativa.
Le conseguenze sono il disordine, l’abuso, la violenza, l’arbitrio incontrollato.
Di fatto l’educare non è un processo di sviluppo estraneo alla società, ma è ad essa finalizzato; non riguarda l’individuo per sé stante, ma in relazione agli altri individui.
Dunque la società è compartecipe diretta dell’educare e ne è responsabile; ciò significa che deve dare il suo contributo fattivo e positivo, nella convinzione che così facendo rende un servizio a se stessa.
L’emergenza educativa è anche dovuta alle spinte poco edificanti che provengono dalla società contemporanea e, purtroppo, trovano risalto e aggancio immediato.
La Chiesa
Come già fatto notare l’educare coinvolge l’interezza dell’essere umano, non può perciò trascurare la sua dimensione spirituale, cioè quel mistero che lo aggancia al trascendente.
Non a caso tra le discipline scolastiche della scuola italiana c’è la religione.
L’educare, però, non riguarda tanto la conoscenza storica delle religioni, quanto la capacità di scoprire e alimentare la fede, cioè il bisogno o la serenità d’animo che deriva dal sentirsi, in qualche modo, legato ad un Essere superiore.
Questa è un’azione che rende l’educare ancora più complesso e complicato, in suo soccorso è la Chiesa, da sempre aperta e disponibile al mondo giovanile.
Il problema sorge a livello locale.
Non sempre i giovani trovano accoglienza e soprattutto sono seguiti con costanza e continuità; dopo la Prima Comunione (parlo della Chiesa Cattolica) per la quale si è obbligati al Catechismo, molti sono i giovani che si allontanano, né qualcuno si preoccupa di cercarli.
La fede è un dono, ma credo si debba meritare e volere, serve impegno e ricerca comune; le scelte sono poi singole e individuali.
Investire sui giovani non è mai immediatamente produttivo, ma si capitalizza un tesoro per l’avvenire; è questa una regola che vale per la società come per la Chiesa.
Non mancano le difficoltà e le incombenze pressanti alle quali rispondere, tuttavia l’attenzione ai giovani, per il valore che racchiudono in sé, dovrebbe essere prioritaria per lo Stato e per la Chiesa.
Avere riguardo della crescita spirituale di un giovane è completarne la personalità, perché avvalorandone l’umanità lo si proietta nella sfera del divino.
In questo la Chiesa ha una funzione fondamentale che non può essere delegata ad altri , per quanto disponibili possano essere.
La società per una serie di motivi è soggetta agli alti e bassi del momento, non sfugge ai continui mutamenti della storia; la Chiesa conserva intatti da duemila anni i suoi punti di riferimento maggiori.
Ad essi si può dare fiducia se si cerca una certezza ed una verità duratura; è ciò a cui il mondo giovanile aspira, anche se distratto dalla molteplicità di proposte che riceve dal mondo.
La Chiesa, al pari della famiglia, della scuola e della società, ha la stessa incidenza e responsabilità circa la formazione dell’uomo e del cittadino.
Conclusione
L’educare è un processo di sviluppo che coinvolge l’uomo totalmente; all’educare contribuiscono diversi fattori, con differenti modi e strumenti, ma tesi ad un unico scopo, dunque in stretta relazione e armonicamente coordinati tra loro.
E’ questa la condizione necessaria del successo.
Il problema dell’educare sorge dalla differente impostazione culturale, ideologica, sociale tra più fattori agenti, che perseguono fini diversi e tra loro incompatibili.
A fronte della unitarietà della persona umana, che soffrendo qualsiasi dicotomia formativa rischia di disgregarsi.
Ancora peggio quando questi vari fattori sono essi stessi insicuri, confusi, travagliati al loro interno.
Mentre l’educare, per potersi evolvere nella giusta direzione, ha bisogno di riferimenti sicuri, credibili, e di elevato valore morale.
L’emergenza educativa è lo specchio della società contemporanea, che considera tutto relativo al risultato indipendentemente da come lo si raggiunge, e che determina una netta rottura col passato, senza avere però chiarezza di un possibile futuro.
Certo l’educare può percorrere la sua strada di Valori, di ideali, di slancio verso una vita migliore, ma senza il supporto della famiglia, della scuola, della società, e per chi crede, della Chiesa si ritroverà ad inseguire i mulini a vento.
L’uomo conta nella misura in cui produce, non per ciò che è nella sua essenza, comunque secondaria; non si educa l’uomo ma lo si addestra alle esigenze produttive della società, e questo sin dalla giovane età.
E’ il potere che porta alla felicità, dunque bisogna industriarsi per raggiungerlo e se possibile aumentarlo.
L’invenzione della macchina era stata salutata come un ausilio al lavoro dell’uomo perché ne limitava la fatica fisica e rendeva perciò la vita più facile; oggi la macchina si è talmente evoluta da divenire così indispensabile da sorpassare il valore dell’uomo stesso.
In simile contesto i Valori si sono capovolti o cancellati, tutto è relativo e valutato secondo opportunità e profitto.
E’ paradossale che nel momento in cui la civiltà del nostro tempo si avvicina ai vertici della scienza e della tecnica, cioè del progresso, l’uomo, che pure ne è l’artefice, ne rimanga incastrato ai margini.
Il semplice buon senso ci dice che non è possibile; occorre tornare all’uomo, credere nel suo Valore, creare tutte le condizioni perché in libertà e coscienza si possa esprimere.
L’emergenza educativa di cui si parla è un campanello di allarme, ma non basta prenderne atto, magari con lucidità accademica, bisogna operare superando le avverse negatività e creando quelle situazioni in cui i giovani siano liberi e consapevoli delle loro qualità e le possano responsabilmente affermare.
Un momento di riflessione della famiglia, della scuola, della società, e della Chiesa sarebbe quanto mai opportuno e di grande utilità.
Vivere alla giornata non è mai un buon consiglio.
L’educare si concretizza nel rapporto diretto tra due persone (adulto-giovane) e non in un olimpo di ragionamenti accademici.
Semplicità di dialogo, serenità e armonia d’intenti, accettazione e condivisione della reciprocità, pur nella diversità del ruolo, ne sono fattori costituenti.
Ma il primo a credere fermamente nelle cose che dice e che fa deve essere l’adulto; il giovane rifiuta istintivamente l’astrattezza in virtù della sua prontezza di giudizio critico.
Purtroppo dalla società non giungono segnali di coerenza, dirittura di vita, esempi di virtù per le quali vale la pena combattere; meglio agire secondo opportunità e convenienza.
Naturale che l’educare si trovi spiazzato e annaspi anch’esso nel relativismo del momento, anche se non è sua natura.