Il cammino
Non siamo tutti uguali. Oggi si tenta di fare passare il luogo comune qualunquista che tutta la politica, di destra o sinistra o quant’altro, è sporca, che chi fa politica lo fa per interesse personale e, quindi, tanto vale fregarsene e farsi i fatti propri.
Il messaggio è chiaro: a che serve impegnarsi a cambiare le sorti del mondo, perché battersi contro le ingiustizie, è inutile dannarsi l’anima per inventarsi soluzioni innovative, in fondo siamo tutti sulla stessa barca. E così, chi comanda e chi subisce, chi inquina e devasta e chi si sforza di rispettare salute e ambiente, chi fa le guerre e chi lavora per la pace, alla fine, in un giustificazionismo di comodo, hanno quasi la stessa dignità di esistere.
Cos’è il Bene e cos’è il Male nella sostanza? C’è solo una sottile differenza fra i due poli, chi può dire davvero d’essere senza peccato? Siamo tutti uguali, perché farsi cattivo sangue, se le cose non vanno è colpa del destino, “volemose bene”.
E invece no, non siamo tutti uguali. Pur fra mille contraddizioni personali, non è la stessa cosa battersi per migliorare i rapporti fra gli umani e fra gli umani ed il resto del vivente e, al contrario, fare finta di non vedere i problemi o, ipocritamente, parlare bene ed in realtà agire per il proprio egoistico potere e profitto.
Il pellegrino prende posizione, sta da una parte, osa e rischia di affermare che esiste una strada diversa dall’altra, che muoversi per l’etica comune è e rimarrà sempre diverso ed alternativo ad ogni narcisistico pensare solo a sé.
E in cammino? Certo, camminare piace a tanti. Ed allora è sempre più frequente imbattersi sui sentieri e sulle vie di viandanza in persone che la pensano in maniera diametralmente opposta. C’è chi cammina per dominare la natura, sia la propria, puntando a prestazioni sempre più performanti, e sia quella che si attraversa, imponendo comportamenti a dir poco incivili. C’è chi cammina nel rispetto della natura, badando che ogni gesto sia finalizzato alla ricerca di un migliore equilibrio con l’interno e l’esterno da sé. In nome del fatto che entrambe queste due filosofie di vita antitetiche hanno il comune denominatore del camminare, dovrebbero marciare assieme e nella stessa direzione? Io penso e dico che no. Penso e dico che dobbiamo dire dei no.
Viene riferito che a New York sta prendendo piede una nuova moda: lasciare a casa il telefonino quando si va a passeggiare o correre per un’ora al parco. Sarà una piccola cosa, ma a me sembra decisamente controcorrente, in un andazzo in cui l’uso smodato della tecnologia toglie ogni tempo e spazio al gustare coi sensi.
Mi batto ogni giorno per sostenere il principio del piacere contro quello dell’imperante dovere. Non si tratta quindi di uno sterile dibattito fra una presunta leggerezza o pesantezza nel fare le cose, compreso il camminare. Si tratta di capire che anche il piacere necessita di scelte, a volte faticose. Fuor di metafora, se in nome di un laissez faire si avalla la distruttività del capitalismo, di che piacere andiamo parlando quando è il ragionare col denaro in testa la causa prima dei nostri malesseri? Preferisco, col sorriso sulle labbra, quando e come ci riesco, lottare per immaginare e operare nella direzione nominata come POSTCAPITALISMO.
Quando cammino ho nella testa e nel cuore un proposito rivoluzionario. E se m’imbatto in chi ha intenti totalmente diversi? Se annuso l’aria, beh, mi pare più saggio e onesto dirci “ognuno per la sua strada”. Non sempre è possibile conciliare gli opposti e far finta di niente non porta da nessuna parte, rovinando oltretutto la meraviglia dell’andare.
Guido Ulula alla Luna
(da: “L’era del postcapitalismo” di Paul Mason)