“Il valore della comunità”
Pubblichiamo alcuni pensieri di Jean Vanier raccolti e inviatici da Ivana Canale, Adulta Scout della nostra Comunità MASCI RC 4. Jean Vanier è un filosofo e filantropo canadese. Fondatore di “L’Arche” e ispiratore del movimento “Foi et Lumiere” è stato membro del Pontificio Consiglio per i Laici. Ha ricevuto il Premio Templeton nel 2014.
IL VALORE DELLA COMUNITA’
“Troppe persone vivono in comunità per trovare qualcosa, per appartenere a un gruppo dinamico, per avere uno stile di vita prossimo ad un ideale. Se si entra in una comunità senza sapere che vi si entra per scoprire il mistero del perdono, se ne resta presto delusi.”
Il valore essenziale dell’imperfezione
“Non si può crescere interiormente se non ci si impegna con altri ed accanto ad altri”
In un mondo ossessionato dall’eccellenza e dal controllo di se stessi e di chi ci circonda, Jean Vanier dimostra il valore essenziale dell’imperfezione.
L’accettazione dell’imperfezione come facente parte integrante della nostra condizione umana, ci libera del gravoso fardello di doverci confrontare con la normalità e di mostrarci all’altezza di ciò che è definito all’unanimità come “buono”.
Queste imperfezioni giocano un ruolo importante nella diversità umana. Non devono scoraggiare i nostri sforzi di crescita e di cambiamento, in particolare quando mirano a sostenere meglio gli altri.
Con ogni individuo affetto o meno da una disabilità, questo ideale si incarna nelle comunità de L’Arca e di Fede e Luce in tutto il mondo.
Secondo Jean Vanier la debolezza è un dono e un’opportunità, una forza che porta le persone a dare il meglio di sé.
Dobbiamo imparare a convivere con questa imperfezione nostra e di chiunque altro e superare la paura e la vergogna che troppo spesso l’accompagnano.
Jean Vanier, figlio di un ambiente privilegiato, ufficiale di marina, professore di filosofia e teologia invita Raphaël et Philippe, due uomini con disabilità, dell’ospedale psichiatrico di Clairmont a condividere la loro vita con lui. Un invito che avrebbe aperto la porta a tutto un altro mondo.
Una tavola, delle risate, dei canti e delle battaglie di bucce di arancia furono le prime situazioni che unirono in maniera veramente profonda i tre uomini.
Per svilupparsi la comunità “L’Arca” doveva diventare un luogo dove ognuno si sarebbe sentito uguale all’altro e amato, un luogo dove la gioia di vivere in una comune amicizia potesse spezzare il peso emotivo che anni di diversità di pregiudizi e di rifiuto avevano forgiato.
Questa atmosfera assolutamente inusuale era contagiosa e stupiva i vicini e gli amici che visitavano l’Arca. Questa casa divenne un luogo di appartenenza dove chiunque poteva essere se stesso e gioire della vita con il suo prossimo.
Jean divenne estremamente sensibile alla fragilità fisica ed emotiva dei suoi nuovi amici, una vulnerabilità causata dai rifiuti e dalle sofferenze che li avevano induriti.
Egli divenne anche consapevole dei suoi blocchi, dei suoi limiti e del proprio bisogno di amicizia. Poco a poco il maestro stava diventando allievo
“In una comunità ciò che conta sono le persone e la loro crescita, più che le leggi e i regolamenti”
Loro lo accettavano in quanto Jean e non in quanto ufficiale, professore o filosofo. Insieme, questo insolito trio formò la prima comunità. Chiamarono la loro casa L’Arca, un nome simbolico che significava che erano tutti sulla stessa barca! Un nome che effettivamente ricordava la lezione che l’anziano ufficiale di marina doveva apprendere velocemente sulla loro reciproca vulnerabilità.
L’amore non è fare cose straordinarie o eroiche, ma fare cose ordinarie con tenerezza.
Vincere la discriminazione e l’esclusione.
Per Jean Vanier l’immaginazione è “la chiave” che permette di vincere la discriminazione e l’esclusione.
Avendo trascorso la maggior parte della sua vita in compagnia di persone comunemente considerate come fisicamente e psicologicamente inferiori, Jean Vanier rifiuta decisamente questa etichetta che gli è stata incollata e sottolinea al contrario la ricchezza inestimabile degli insegnamenti appresi dai suoi amici.
Egli ritiene che, in generale, si erigono istintivamente barriere protettive tra noi e coloro che giudichiamo diversi, soprattutto se questa diversità è svalorizzata o stigmatizzata.
Anche se questo atteggiamento è comprensibile, ha come effetto indesiderato quello di precluderci tutte le possibilità di entrare in contatto con la diversità e di uscirne “diversi”, trasformati oltre la nostra immaginazione.
Jean Vanier racconta numerosi aneddoti in cui ha provato un malessere di fronte alla diversità rappresentata da un handicap, per apprendere in seguito ad essere semplicemente “con l’altro”, imparare a riconoscere l’arricchimento e l’apertura che hanno avuto luogo nel profondo della sua immaginazione e si sono espresse, proprio grazie a questa differenza.
Concedere dei diritti non è sufficiente
Concedere dei diritti non è sufficiente: non si può legiferare sulla compassione.
Nell’euforia dell’onda della de-istituzionalizzazione e della normalizzazione di queste persone, Jean Vanier è stato una dei pochi a sottolineare che il semplice trasferimento delle istituzioni verso le non-istituzioni sarà un fallimento a meno che non si trasformi la percezione di queste persone nel cuore e nello spirito della gente.
Cinquant’anni più tardi, abbiamo vissuto numerosi cambiamenti nel campo della disabilità. Ma, malgrado la chiusura delle istituzioni e gli sviluppi legislativi, l’opinione pubblica presenta una profonda ambivalenza, in particolare verso la disabilità psichica.
Grazie alla sua esperienza di vita nelle comunità de L’Arca e di Fede e Luce che ha fondato e nelle quali vive da oltre cinquanta anni, Jean Vanier ha potuto constatare personalmente l’ostracismo e la sofferenza che subiscono ogni giorno le persone colpite da un handicap.
Anche se delle leggi difendono i loro diritti ormai da molti anni in Canada, negli Stati Uniti e in Europa occidentale, le liste di attesa per essere accolte in queste comunità o in strutture simili restano lunghe, e questo ci suggerisce che sempre difficile per una persona con disabilità vivere in modo autonomo nella nostra società.
“In ogni persona c’è qualcosa dell’infinito, qualcosa di molto bello, di universale. Poi, si scopre anche un Dio vulnerabile e debole”