Incontro ai fratelli, con le braccia tese
Pubblichiamo un articolo scritto dalla nostra sorella Adulta Scout, Bruna Labate, della Comunità MASCI Reggio Calabria 4, relativa alla sua testimonianza sull’accoglienza ai migranti, resa in occasione dell’incontro con il Santo Padre Papa Francesco, in Vaticano, sabato 8 novembre 2014, per il 60° anniversario del MASCI.
“In occasione dei festeggiamenti per i 60 anni del MASCI sono stata invitata a parlare dell’esperienza di servizio vissuta quest’estate in occasione degli sbarchi avvenuti nella nostra città. Con un po’ d’incoscienza ho accettato, ma quando ho salito i gradini che mi separavano dalla platea, il Signore mi ha sostenuto con la sua forza, dandomi la serenità necessaria per affrontare i circa 7000 presenti in sala. Dopo il filmato di Alessandro Azzarà, Piero Badaloni mi ha chiesto quali sono stati i motivi che ci hanno spinto a far nascere il Coordinamento Ecclesiale per accogliere i migranti.
Ho cominciato, così, a raccontare la storia che riguardava, oltre me, le tante persone che hanno condiviso il servizio verso i fratelli che arrivavano dall’altra parte del mare, per scappare da guerre, crimini, persecuzioni e massacri.”
Purtroppo non ci siamo ancora resi conto, come ha detto Papa Francesco, che stiamo vivendo una terza guerra mondiale, combattuta “a pezzi”. Il “Coordinamento” è nato con lo scopo di accogliere, con un abbraccio, quelli che in questo momento storico sono considerati gli ultimi, mettendo davanti a tutto l’amore e la carità cristiana.
Tra i primi che hanno deciso di impegnarsi con le altre associazioni (AGESCI, Comunità Papa Giovanni XXIII, CVX, Comunità di S. Agostino, MOCI e Comunità di S. Egidio) sono stati gli Adulti Scout di Reggio Calabria 4. Avevamo capito che non si poteva non accogliere queste persone che arrivavano, scalze e lacere, e che camminavano schiacciate sotto il peso del loro bagaglio carico di storie drammatiche. Era una grande sfida: il Signore ci stava chiamando a vivere “l’impresa” più importante della nostra vita.
Inizialmente, il coordinamento ha faticato un po’ per farsi accettare, però quando si é resa conto con quanto amore e quanta passione svolgevamo il nostro servizio, la Prefettura di Reggio Calabria ci ha riconosciuto ufficialmente, invitandoci al “tavolo di crisi” prima di ogni sbarco. E, grazie ai risultati conseguiti, questo gruppo di persone – un po’ folli – che, invece di andare in vacanza, avevano deciso di trascorrere un’estate alternativa, ha suscitato la curiosità della CEI.
Quando abbiamo iniziato, non pensavamo al lavoro gravoso che ci aspettava. Infatti, dopo i primi timidi sbarchi, dal 14 giugno abbiamo assistito a un vero e proprio esodo, con due sbarchi a settimana e con migliaia di persone a bordo delle navi. Fino al culmine di Ferragosto, quando, nella stessa giornata, si è fatto fronte a due distinti arrivi, uno programmato e l’altro di fortuna, verso le ore 23,30.
L’ accoglienza inizia sul molo, già da quando alziamo le braccia in segno di saluto, sfoderando i nostri sorrisi che loro contraccambiano come se non aspettassero altro. Sono nostri fratelli arrivati da tanto lontano, stanno bussando alla porta di casa nostra e dobbiamo riservare loro la migliore accoglienza. Nelle strutture comincia il vero impegno e quindi la fatica. Ma il nostro obiettivo era chiaro: rispondere alla chiamata del Signore senza preconcetti, nella certezza che, per vivere da persone vere e autentiche, bisognava avere la forza (che solo Lui ci dà) di mettere da parte tutto e donarci alle persone che Egli aveva deciso di farci incontrare.
Ed è quello che abbiamo fatto: non ci siamo fermati né di giorno, né di notte. Non si è mai smesso di servire, sempre con lo stesso amore, con lo stesso entusiasmo, facendo del nostro meglio. Qualche volta la stanchezza trapelava dai nostri volti, ma il sorriso non ci ha mai abbandonato, (d’altronde lo scout sorride e canta anche nelle difficoltà).
La sera quando si tornava a casa stanchi, prima di andare a letto si ringraziava il Signore per il privilegio che ci aveva riservato (in fondo noi siamo dei privilegiati) perché lo abbiamo vestito, gli abbiamo dato da bere, gli abbiamo dato da mangiare, lo abbiamo consolato attraverso i fratelli che ci ha fatto incontrare. E, solo allora, capisci quant’è grande il suo amore nei tuoi confronti e ti rendi conto per quante cose effimere perdiamo il nostro tempo, quando basta poco a rendere felici e a renderti felice.
Nei luoghi di accoglienza si allacciano i primi rapporti di amore fraterno con una silenziosa complicità; i vestiti, i succhi di frutta ecc… che distribuiamo, sono gli strumenti che ci consentono di cominciare a dialogare, conoscere i loro bisogni e le loro necessità. Ma l’impegno maggiore è quello di rendere, per quanto possibile, la loro permanenza confortevole, cercando di sostenerli nei momenti di maggiore sofferenza fisica e morale .
Alcuni arrivano con ferite da arma da fuoco, con ustioni da idrocarburi o addirittura rigidi per la posizione mantenuta durante il viaggio. Sapete cosa lascia sconvolti? Vedere sul loro corpo le ustioni profonde e sotto la pelle nera emergere la carne rossa (certo è una cosa che sappiamo), ma per me è stato come una rivelazione. E allora ti rivolgi al Signore dicendo: dammi la forza di amare ancora di più questo mio fratello, anzi questo figlio mio, perché, inevitabilmente, il volto di tuo figlio si sovrappone a quello dei ragazzi sofferenti.
A volte vieni assalito dalla rabbia, la rabbia dell’impotenza quando vedi tanta ingiustizia attorno a loro, (ricovero ore 8,00, dimissioni ore 8,05), quando trascorri una notte in ospedale nell’attesa che qualche medico li venga a visitare, cercando anche di difenderli dalle maldicenze della gente e, purtroppo, qualche volta dal personale ospedaliero. In questi casi ti assale l’amarezza perché sai come hanno affrontato il viaggio.
Ci hanno raccontato che stanno giorni interi accovacciati o in piedi sui barconi, dove non hanno neppure la privacy per fare i loro bisogni. Appena si accostano a noi percepiamo un olezzo poco gradevole che io chiamo “il profumo della sofferenza”. Nei centri dove sono ospitati avviene il vero incontro, quando si condividono gioie e dolori, quando cominciano a raccontare le loro storie, ciò che hanno subito nel corso del loro lungo viaggio, gli affetti lasciati, (in modo particolare i minori non accompagnati, quando vengono colti dalla nostalgia e ti chiamano “mama” e tu, in quel momento, ti senti veramente la loro mamma e li abbracci nella speranza che sentano meno la nostalgia di casa).
Poi arrivano le emozioni: quando tieni a battesimo un bambino e quando incroci gli occhi dei genitori colmi di lacrime, come per suggellare quel patto d’amore che ci unisce con quel sacramento. Emozione è il saluto di un ragazzino che si attacca al tuo collo e ti sussurra tra le lacrime “thank you”. Emozione è quando, al mattino, arriva un messaggio di George che scrive: “Mi sono svegliato, tu sei il primo pensiero che suona nel mio cuore…. Che possano i tuoi giorni essere fecondi nel nome di Gesù, amen”.
Emozione è quando si privano di un piccolo oggetto per lasciartelo come ricordo. Emozione è quando accogli una bimba, nata sulla nave poche ore prima, con uno striscione colorato con scritto “Welcome”. In questi mesi lo scoutismo ci ha aiutato parecchio: l’Estote parati è diventato il motto principale; eravamo sempre pronti ad affrontare tutte le situazioni e tutti gli imprevisti senza perderci di coraggio, (sbarco a ferragosto, corredino per Jambajì, inventarsi dei giochi, disegnare in modo grossolano una carta geografica per fargli vedere dove sono approdati, tornei di calcio, proiezione di film, organizzare una festa per 200 persone senza spendere un centesimo).
Nella Lettera ai Romani, cap.12, S. Paolo dice: “amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno…. Non siate pigri nel fare il bene servite il Signore…. siate premurosi nell’ospitalità.
Vi voglio lasciare con una immagine che mi è rimasta nel cuore. Tempo addietro sono entrata nella chiesa della stazione Termini di Roma, dentro c’erano tanti amici senzatetto che dormivano, qualcuno coricato sul banco. Il mio cuore s’è riempito di gioia e mi sono detta: “Com’è bella la Chiesa che accoglie”. Alzando gli occhi ho visto il Crocefisso con le braccia allargate e ho immaginato che il Signore li stava cullando tra le sue braccia, accarezzandoli con lo sguardo amorevole; allora anch’io ho chiuso gli occhi e mi sono ritrovata tra le braccia caritatevoli del mio Signore. Sensazione sublime e appagamento totale.
E quello che io sogno è proprio questo: andare insieme a voi incontro ai nostri fratelli con le braccia tese e abbracciarli con lo stesso amore che il Signore ha sempre riservato a noi.
Bruna Labate
Comunità MASCI Reggio C. 4