La città non dimentica il prete buono.
La città non dimentica il prete buono. Una via dedicata a don Italo Calabrò. Insieme con mons. Ferro è stato uno dei sacerdoti più amati dai reggini
È stato uno dei figli di Reggio che più hanno amato la città, una figura carismatica che ha speso la sua vita al fianco dei giovani, degli ultimi, degli emarginati. Un uomo di Chiesa come pochi, che non si è limitato ad annunciare il Vangelo, ma lo ha tradotto in fatti e azioni concrete. Don Italo Calabrò è stato questo è molto altro ancora: un prete, un amico, un padre, un fratello a cui rivolgersi nei momenti di sconforto e di difficoltà. Insieme con l’arcivescovo Giovanni Ferro, è stato sicuramente uno dei sacerdoti più amati dai fedeli reggini.
Ed è a lui che l’Amministrazione comunale ha deciso di dedicare la via che collega il Policlinico al santuario dell’Eremo, una strada lungo la quale si trovano molte opere da lui realizzate, fra tutte il Centro polivalente “Papa Giovanni”. Ed è il minimo che la città poteva fare per ricordare e rendere omaggio al “sacerdote buono” che denunciava e affrontava il male a viso aperto, chiamava la politica alle proprie responsabilità, guardava in faccia i mafiosi senza paura, favoriva la scolarizzazione e la cultura per una promozione umana e sociale oltre che religiosa.
La notizia dell’intitolazione di una via a don Italo Calabrò, giunge nel corso della presentazione, alla Provincia, del volume di Renzo Agasso “Nessuno escluso mai!”, dedicato alla vita e all’azione civile e pastorale del sacerdote. All’incontro, organizzato dal Rhegium Julii e dall’Arcidiocesi di Reggio-Bova, oltre all’autore hanno partecipato il fratello di don Italo, Corrado Calabrò, presidente dell’Agcom; il presidente del Rhegium Julii, Giuseppe Casile; il vicario generale della Diocesi, mons. Antonio Iachino; l’assessore provinciale alle Politiche sociali, Attilio Tucci; e il prorettore dell’Università per stranieri “Dante Alighieri”, Antonino Zumbo. Presente anche mons. Ercole Lacava, custode degli scritti più importanti di don Italo Calabrò.
Due video hanno introdotto il dibattito: nel primo don Italo si rivolge agli studenti, incitandoli a cambiare il mondo a cominciare da loro stessi, senza delegare nessuno; il secondo è un’intervista concessa ad Enzo Biagi, nel quale il sacerdote condanna la ‘ndrangheta.
Aneddoti e ricordi hanno poi caratterizzato gli interventi dei relatori. Le stesse storie che Agasso ripercorre nel suo volume, a cominciare proprio ad quel testamento spirituale scritto da don Italo pochi giorni prima di essere stroncato da un tumore. Uno scritto che racchiude in sé tutta l’essenza di un sacerdote che ha speso la sua vita a servire Dio, la Chiesa e i poveri “nessuno escluso mai!”.
«Don Italo – ricorda mons. Iachino – è stato un prete che ha vissuto intensamente il servizio alla Chiesa reggina, che ha interpretato tutti i compiti che gli sono stati chiesti in modo esemplare, attaccandosi solo a Gesù Cristo che vedeva nel volto dei poveri e dei deboli. Don Italo c’era sempre e si vedeva, disponibile a risolvere le questioni più difficili della Diocesi. Ma soprattutto non era un solitario, un protagonista, don Italo amava coinvolgere tutti, soprattutto io preti più giovani».
Mons. Iachino, successore di don Italo alla guida della Caritas diocesana, ricorda anche il rapporto tra quest’ultimo e i poveri: «La carità di don Italo non si traduceva nell’intervento del momento, lui cercava di andare in fondo al problema che affliggeva chi gli chiedeva aiuto. I poveri per don Italo non erano un numero, ma erano persone, ognuna con un nome».
Commosso il ricordo di Corrado Calabrò, fratello di don Italo, il quale sottolinea come il libro di Agasso «traccia perfettamente la vita di Italo, la sua coerenza e il suo amore verso gli altri. Un amore assoluto, che non aspetta di essere ricambiato».
Singolare l’aneddoto degli angeli che “traducono” le bestemmie. «Don Italo – racconta Calabrò – era anche molto ironico. Spesso i poveri ricambiavano la carità con insulti e bestemmie, ma lui, a chi si scandalizzava e faceva notare questa cosa, diceva che insieme ai cherubini e agli arcangeli, in paradiso ci sono anche gli angeli traduttori, quelli che traducono le bestemmie in preghiere e lodi a Dio…».
Un’altro episodio che ama ricordare Calabrò per far comprendere quello che don Italo ha rappresentato per molte generazioni di giovani, è quello accadutogli a Buenos Aires lo scorso anno nel corso di un incontro con la comunità italiana. «Alla fine dell’incontro – racconta il presidente dell’Agcom – un uomo con accanto un bambino, si è avvicinato con le lacrime agli occhi e ha detto al figlio: “questo è il fratello di don Italo, il sacerdote che mi ha battezzato, mi ha fatto la prima comunione, mi ha fatto studiare. Se oggi sono dottore commercialista lo devo a lui”. Credo che questa sia il più bel dono che Italo ci ha lasciato…».
Domenico Malara – Gazzetta del Sud