La città non ha dubbi: mons. Ferro Beato
Pubblichiamo un articolo apparso sulla Gazzetta del Sud – Reggio C. del 29/09/2011, relativo al processo di beatificazione di Mons. Giovanni Ferro.
29 settembre 2011, una data storica per la Chiesa reggina. È il giorno di mons. Giovanni Ferro, il vescovo che più di tutti ha amato Reggio e che più di tutti è stato amato dal popolo reggino. È il giorno in cui sarà dichiarata chiusa la fase diocesana del processo che dovrebbe portare, in tempi brevi si spera, alla beatificazione del Servo di Dio che guidò la Diocesi di Reggio dal 1950 al 1977. L’appuntamento è per stasera alle 18 alla Basilica Cattedrale, luogo in cui sono custodite e venerate le spoglie mortali dell’arcivescovo piemontese, e dove mons. Vittorio Mondello presiederà una solenne concelebrazione eucaristica. Al termine della liturgia sarà ufficialmente dichiarata conclusa la fase processuale condotta dal Tribunale diocesano che nel corso degli ultimi tre anni ha raccolto testimonianze, documenti e scritti che certificano la fama di santità che ha accompagnato in vita mons. Ferro, e che si è accresciuta fin dal giorno della sua morte.
La devozione dei reggini verso mons. Ferro è testimoniata anche dalla grande partecipazione di pubblico al convegno promosso dall’associazione Anassilaos insieme alla Curia metropolitana per ricordare la figura dell’arcivescovo piemontese, in particolare negli anni (1938-1945) in cui lo stesso fu rettore al Collegio “Gallio” di Como. Anni difficili, nel corso dei quali mons. Ferro si distinse, non solo per aver dato un contributo importante per qualificare ed accrescere il valore educativo del “Gallio”, come ha ricordato l’ex rettore del Collegio padre Luigi Amigoni, ma cosa più importante si rese protagonista del salvataggio di un ebreo dalla persecuzione nazista, episodio che gli consentirà presto di essere annoverato tra i “giusti delle nazioni”. È stato proprio il protagonista di questa storia, Roberto Furcht, oggi ottantaduenne, a raccontare, nel corso dell’incontro, come mons. Ferro lo salvo da morte sicura. «Dal 1942 la mia famiglia era sfollata a Cittiglio, in provincia di Varese.
All’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943 iniziarono i rastrellamenti delle SS e mia madre decide di lasciare Cittiglio insieme a me che all’epoca avevo appena 14 anni. Mentre ci trovavamo al bar entrò un gruppo di SS che chiesero al barista se conosce la famiglia Furcht. Erano le stesse SS che qualche giorno più tardi attueranno la strage di Meina, a Novara, che sarà la prima strage in Italia di ebrei non militari. Mia mamma e io eravamo a pochi centimetri dai militari, ma il barista ha la prontezza di dire che non conosceva nessun Furcht. Prendemmo un treno per la prima destinazione possibile che, in quel momento, era Como. Arrivati a Como, un collega d’ufficio di mia madre ci accompagnò al collegio “Gallio” dove il rettore, padre Giovanni Ferro, mi accolse e mi fornì, pochi giorni dopo, falsi documenti d’identità. Al “Gallio” trascorsi gli anni scolastici 1943-44 e 1944-45 con il padre rettore che ogni due giorni mi chiamava nel suo ufficio per rinfrancarmi e interessarsi al progresso dei miei studi. Sotto questa protezione si giunse fino all’aprile 1945, quando finalmente il grande pericolo passò».
Le circostanze della vita hanno poi portato Furcht, per quasi 25 anni, a perdere ogni contatto con mons. Ferro che intanto era diventato arcivescovo di Reggio. Fino al 1970, quando per un viaggio di lavoro Furcht si trova a Messina. «Casualmente – racconta – vidi la foto di padre Ferro sul giornale, in un articolo riguardante i moti di Reggio. Sentì il bisogno di chiamarlo e quando telefonai in Curia lui mi riconobbe subito e mi disse di prendere il primo traghetto per andare a trovarlo. Ricordo ancora quel giorno, padre Ferro avvicinò la sua fronte alla mia e da allora capì quanta capacità d’amore c’era in quell’uomo». Furcht non ha dubbi: «Mons. Ferro è un eroe moderno, uno di quelli che rischia e si sacrifica per il bene degli altri. Per salvare me lui rischiò la sua di vita, perché aiutare un ebreo significava essere punito con la morte. Ma mons. Ferro ha fatto di più. Ha fatto in modo che io non sapessi cosa fosse la paura e infatti, ancora oggi, ho un ricordo piacevole di quel periodo. Padre Ferro era un animo nobile e fu lui ad insegnarmi l’amore e la tolleranza, cose di cui oggi ci sarebbe tanto bisogno».
Anche il presidente dell’Anassilaos, Stefano Iorfida, e il vicario generale della Diocesi, mons. Antonio Iachino, hanno voluto ricordato la figura di mons. Ferro. Mons. Iachino ha anche voluto ringraziare pubblicamente i membri e il postulatore del Tribunale diocesano per «la dedizione e il lavoro straordinario svolto nel corso di questi anni, che consentirà speriamo presto, di avviare la seconda fase del processo di beatificazione del nostro amato arcivescovo Ferro».
Domenico Malara