La coperta rossa
“sette!” “Nove!” “Sana!” “Otto!” “Ragazzi, ora basta. Andate fuori a giocare a morra. Non vedete che disturbate il Padre?” I due bambini al rimprovero di Giovanni guardarono istintivamente Filippo poco distante, il quale con un breve cenno del capo lì invitò a seguire gli ordini dell’amico. Quando i due furono usciti però gli si avvicinò e provò a giustificarli: “in fondo non stavano disturbando tanto. Sai che al Padre fa piacere vederli giocare…” “Shh…” Il gesto di silenzio di Giovanni fu perentorio. I due amici guardarono il Padre.
Stava seduto vicino alla finestra e guardava fuori verso l’orizzonte buio. Da quando suo figlio era andato via, ogni sera si sedeva lì ad aspettarlo come un cane in attesa del padrone. Un braccio a sorreggere la testa e gli occhi socchiusi come per guardare ancora più lontano, assorto nei suoi pensieri. La Madre gli aveva posto sulle spalle quella coperta rossa che proprio il figlio gli aveva confezionato con le sue mani e regalato. Lui l’aveva ringraziata con un sorriso e se l’era stretta intorno al corpo.
“Voglio andare via per seguire la mia strada.” Quelle parole gli risuonavano nello stomaco prima che nella testa.
“Ma cosa speri di trovare fuori? Cosa ti ho fatto mancare nella mia casa, nella nostra casa?”
“Lo capisci che mi sento soffocare qui? Voglio vedere il mondo, voglio vivere la mia vita. Io so tutto quello che c’è da sapere e voglio decidere per me!”
“Allora vai.” Disse il padre col cuore gonfio di dolore accennando a una benedizione che il figlio rifiutò.
Gli avevano prospettato una felicità diversa da quella che il Padre stava costruendo per lui e i suoi fratelli. Un successo abbagliante basato su tre corna: machini, fimmini e sordi.
Lui seguì quelle false stelle che brillavano seducenti lontano dalla casa del Padre. E le ebbe. Una grossa macchina con cui poteva andare in giro nel tanto tempo libero che gli restava dopo il giro dei negozi in cui accompagnava un amico a prendere il… “contributo per i carcerati”. La macchina e i soldi per mantenerla glieli aveva dato il capo ‘ndrina locale. Lo aveva colpito quell’uomo perché anche lui gli aveva dato un buffetto quando lo aveva preso con sé. Ma quel gesto non era caldo e affettuoso come quello del Padre. Era angosciante. La macchina gli aveva procurato successo ulteriore nel “giro” e gli dava quella falsa sicurezza che gli consentiva di gonfiare il petto di fronte alle ragazze sulla via Marina. Poi una sera, mentre per la strada camminava sotto la pioggia, era dicembre inoltrato, vide due suore che camminavano svelte verso Modena. Erano le suore di Madre Teresa, le aveva riconosciute per il tipico Sahari bianco bordato di blu che compariva da sotto un goffo cappotto di poche pretese. Ebbe nostalgia. Quante volte suo padre aveva dato loro un passaggio con la sua scassatissima macchina? Fece per accostare. Voleva dare loro un passaggio ma poi il loro vestito bagnato avrebbe inzaccherato i sedili in pelle e la moquette. Quelle buste che portavano in mano avrebbero graffiato gli interni e poi gli avrebbero sorriso come facevano sempre e quel sorriso sarebbe stato per lui peggio di una coltellata. Accelerò rabbiosamente e se ne andò via. Solo.
Le due suore videro la grossa macchina che prima aveva rallentato e dopo un attimo aveva accelerato. “preghiamo…” mormorò semplicemente la più anziana stringendo il rosario e chiudendosi il bavero della giacca.
Lui quella notte non dormì per la rabbia. Non che le altre notti dormisse regolarmente. Si svegliava spesso e quando riusciva a prendere sonno era martellato da incubi e agitazione. Aveva preso a fumare e a bere. Gli tremavano le mani ed era sempre più nervoso. Non sorrideva più e le ragazze avevano cominciato ad evitarlo. Ma a lui non importava, le cambiava in continuazione come si fa con i fazzoletti o i calzini. Quella mattina partì per il giro di Natale con il compare. Si fermarono di fronte a una pescheria come sempre in doppia fila intralciando il traffico. A loro tutto era permesso. Vide il suo accompagnatore entrare e uscire poco dopo. Mentre il tizio usciva, entrò un altro ragazzo. Lo aveva riconosciuto, era il figlio del proprietario. I due si incrociarono e si guardarono. Il figlio del proprietario non abbassò gli occhi. Lo sfidò con coraggio.
Lo ‘ndranghetista se ne avvide ma non poté fare nulla di fronte a tanta dignitosa fermezza. Quando salì in macchina sbatté lo sportello. “A questo lo dobbiamo punire. Ci ha sfidato. Già non ci amano. Se non ci temono neanche più per noi è finita. Tu pensa che quell’idiota del padre si è chiuso nella cella frigorifera per non farsi vedere dal figlio mentre frignava come un bambino. Ricordati, nessuna pietà.”
Lui accese il potente motore e il rumore gli sembrò un urlo che lo fece rabbrividire. “…il padre si era chiuso nella cella frigorifera…” quelle parole lo avevano straziato. Dov’era adesso suo padre?
Filippo e Giovanni erano come al solito impegnati nelle attività della casa. Avevano lavorato con i tre ragazzi all’orto, al giardino e alle stalle. La serenità regnava come sempre nella casa del Padre ma la mestizia per quel figlio che non tornava pesava sul Natale imminente.
“E se andassimo a chiamarlo?” disse il più piccolo dei fratelli agli altri due.
“Sai che papà non vuole. Ne ho parlato anche con Giovanni e Filippo e mi hanno detto la stessa cosa. Dobbiamo rispettare la sua libertà.”
“E se non fosse libero? Lui magari neanche sa che lo stiamo aspettando…”
“Effettivamente potremmo almeno dirgli che se vuole tornare qui la porta è aperta.”
“Andiamo a dirglielo, dai…”
Di nascosto i tre fratelli uscirono dal retro della casa e corsero in città. Sapevano in quale sala giochi lo avrebbero trovato. Videro parcheggiata fuori la macchina che conoscevano, videro il crocicchio di ragazzi seduti sui motorini. Si affacciarono alla finestra e nel fumo puzzolente della stanza illuminata dai neon e dalle luci dei videopoker videro il loro fratello. Era ubriaco e barcollava. Entrò il più piccolo che però non ebbe la forza di dire nulla. Quando il fratello se ne accorse sgranò gli occhi.
“Vai via da qui!” Gli urlò in faccia con una smorfia “Vai via da qui e non mi guardare. Vai via da questo inferno, torna a casa, torna a casa, torna a casa!”
Il bambino uscì camminando al contrario e scuotendo la testa. Aveva gli occhi sbarrati dalla paura e tremava. I due fratelli lo afferrarono e lo trascinarono fuori. Si fermò però un attimo sulla porta: “papà ti aspetta….” Riuscì a balbettare non sicuro di essere stato ascoltato.
Ma il fratello lo aveva sentito nonostante l’alcool e la morte lo avessero stordito.
I tre fratelli tornarono a casa sotto la pioggia battente e si rifugiarono nella stanza più segreta dove trovarono la Madre che, come sempre, li accolse, li asciugò e li consolò.
Il ragazzo quando i fratelli furono usciti dalla sala giochi prese la bottiglia di birra bevve un sorso e poi la lanciò con rabbia verso lo schermo del videopoker facendo schizzare vetro e scintille. Due guardaspalle del boss lo afferrarono e lo portarono nel bagno. Qui un terzo lo prese per i capelli e gli infilò la testa nella tazza del gabinetto e poi tirò lo sciacquone.
“Rinfrescati le idee!” Disse mentre gli altri ridevano. Poi dopo averlo riempito di calci e pugni lo buttarono in mezzo alla strada dove cadde di fronte a quello che era stato il suo Suv. Barcollando riuscì a sollevarsi, sporco, alienato, massacrato nel corpo e nell’anima. Con gli occhi semichiusi alzò lo sguardo al cielo e urlò tutta la sua disperazione. Vide in lontananza una stella che al suo urlo brillò più forte come se lo avesse sentito. Almeno così gli era sembrato. Si alzò con difficoltà e cominciò a camminare scalzo verso la stella. Ogni passo era peggio di una tortura ma una forza diversa lo sosteneva e gli faceva compiere il lungo cammino.
I ragazzi stavano vicino al caminetto a sistemare i pastorelli del presepe. La gatta ne aveva come sempre buttati due e loro li avevano rialzati. Si voltarono di colpo quando videro che il Padre era schizzato in piedi. Tremava guardando fuori. Tremava e con le mani si stringeva la coperta. Tremava e le labbra erano nascoste nella folta barba bianca. Filippo e Giovanni si guardarono interrogativi stringendo le mascelle. Fuori cominciava ad albeggiare dietro le montagne e gli animali avevano cominciato a lanciare il loro saluto al giorno che viene. Ma quell’annuncio di festa era diverso. Era un annuncio allegro di gioia nuovo. Il Padre corse fuori seguito dai figli e dai due Santi uomini.
Tutti si fermarono a distanza perché nello spiazzo stavano fermi i due, il Padre e il figlio. Restarono immobili solo per un attimo poi il figlio cadde fra le braccia del padre che lo avvolse con la loro coperta rossa mentre finalmente il figlio poteva addormentarsi sereno nella pace dell’abbraccio.
Solo a quel punto si avvicinarono tutti.
“Finalmente potremo riprendere la nostra partita a morra” disse il più piccolo nascondendo la mano dietro la schiena per provare le combinazioni.
“Io intanto porto il vitello grasso prima che qualcuno mi rimproveri…” Disse il terzo preparando il coltellaccio.
E tutti si misero in posa per il dipinto, dietro il padre e il figlio. Compresa la Madre che brillava discretamente come non mai.
Giorgio Gatto Costantino
Giornalista – (Scout AGESCI)