La sfida di Cardeto. Il paese senza strada: «La costruiamo noi»
Una curva dopo l’altra ci si allontana da Reggio Calabria arrampicandosi sull’Aspromonte e avvicinandosi a Cardeto, poco più di duemila anime tra i boschi. Un paese ogni giorno più piccolo perché i giovani, ormai da anni, fuggono verso le città. Quest’anno sono stati celebrati appena sette matrimoni e, di tutte le nuove famiglie, una sola ha deciso di rimanere in paese. Eppure c’è tanta voglia di fare, tra la popolazione, stimolata da don Ernesto Malvi (A.E.R. del MASCI Calabria, n.d.r.), da due anni parroco, dopo un lungo impegno pastorale a Reggio. Un prete con una marcia in più che ha deciso di scendere in campo senza aspettare né sperare, richiamandosi alla Dottrina sociale della Chiesa e credendo in una teologia pratica per portare Cristo nella quotidianità della gente. E ha trovato terreno fertile, don Ernesto, tra i cardatesi, che hanno raccolto la sfida di questo prete dal sorriso aperto e dallo sguardo sornione venuto dalla città.
Hanno creato la cooperativa “Nautilus Cantiere della provvidenza” che sperano d’usare quale passepartout per generare il lavoro che manca, sfruttando le risorse naturali che abbondano a differenza di quelle economiche. Dalle castagne, di cui sono ricchi i 36 kmq di territorio comunale, ai salumi prodotti da allevamenti locali, dal grano alla legna ai Pomodori di Belmonte, che sono una prelibatezza, così come i formaggi e i porcini dell’Aspromonte. Si pensa a filiere, prodotti a chilometri zero, latte d’asina, Pet therapy e molto altro.
Ma per concretizzare le ambizioni servono le condizioni minime. Don Ernesto e i membri della coop (Giovanni Fotia, Carlo Viviani, Nino Arnò, Bruno Doldo e altri) non offrono solo braccia, testa e buona volontà. Poiché i palazzi non hanno risposto si sono messi a costruire loro una strada che accorci i 16 km che separano il borgo da Reggio. Grazie al denaro raccolto con collette e contributi diretti di don Malvi, lavorano per rendere percorribile un percorso di servizio realizzato nell’alveo della fiumara Sant’Agata per legare la diga sul Menta alla centrale idroelettrica che doveva sfruttarne la portata. Entrambe sono rimaste progetti e promesse, ma la strada c’è. E i cardetesi faticano con l’aiuto del benzinaio che regala il carburante, del consorzio che offre l’escavatore e dell’operaio che lavora gratis.
«Facciamo il nostro dovere senza sperare troppo negli altri. Se arrivano bene, comunque noi ci siamo. Ancora una settimana – aggiunge il parroco, che richiama il principio della sussidiarietà – e avremo finito. Poi l’ente dovrà solo metterlo in sicurezza ma l’università ci sta già lavorando. In Calabria non servono grandi opere, come tante se ne vedono, ma piccoli interventi che aiutino a vivere meglio. Alla gente manca l’essenziale e si pensa a realizzare il superfluo». L’essenziale per Cardeto è un collegamento rapido con Reggio. Tra l’altro servirebbe pure al capoluogo per salire rapidamente a Gambarie, perla turistica dell’Aspromonte. Cardeto ha subito tre alluvioni: nel 1951, nel ’72 e nel ’73. Furono così disastrose che si decise di trasferire il paese spezzandolo in due: Cardeto nord e Cardeto Sud. Furono stanziate decine di miliardi però spesi solo in parte, perdippiù per creare casermoni inguardabili sopra il vecchio borgo, in mezzo all’Aspromonte, a 1.200 metri d’altezza, dove c’è neve da novembre a marzo e quindi arrivarci è un’impresa. Non a caso solo alcuni appartamenti sono stati abitati alla meno peggio. Tanto che per uscire di casa un feretro è stato fatto passare da una finestra al primo piano con l’aiuto dei vigili del fuoco. Ma don Ernesto più che ai soldi sprecati pensa agli 8 milioni di euro che ritiene siano rimasti tra quelli stanziati per Cardeto. Chiede siano restituiti al paese, magari per finire la strada nell’alveo del Sant’Agata o finanziare i primi passi d’alcuni progetti della coop. Per farsi sentire, dopo i ripetuti silenzi dei politici nostrani, ha scritto una lettera aperta al presidente del consiglio, Enrico Letta, invitandolo a visitare la sua Cardeto e magari fare partire proprio da questo piccolissimo e isolato borgo della Calabria, il cammino di rinascita, quasi di riscossa, di cui ha bisogno tutta l’Italia.
Domenico Marino – (Avvenire)