L’albero caduto
La strada che conduce, salendo, al refettorio, divisa fra la morbida scarpata che sostiene le case e la parte a valle, frammezzata da un muretto in pietra, era sconnessa, storta, arata da un monumento contorto di masse giganti. Un albero, fra i più grandi, mostrava le cicatrici delle sue parti lese, avvoltolate le une sulle altre, a frangersi, linea contro linea, muro contro muro, mostro di denti aguzzi a mordere gli altri, immobili, come statue cadute.
Nel centro della strada, formavano un getto di lava effusa, che strideva nella sua forma informe, contro il tiepido filare degli alberi intorno, silenziosi vicini di un fratello caduto.
E nella polvere, sospesa e immota, confusa della stessa eterea sostanza che il taglio aveva creato, stava il vecchio gigante, morto ormai, spezzato e vinto. Eppure, nelle linee ondulate dei suoi cerchi interni, mostrava ancora un possente sospiro di forza, elegante e imponente. E nel colore sano della sua linfa accesa, portava intatta l’ombra di una forza antica.
Stava, uno, eppure molti, singoli figli deformi di un unico padrone. Sconfitto, mostrava ciò che non avrebbe dovuto: la sua rovinata inutilità.
Eppure, come formiche alacri e invitte, prendemmo, pezzo per pezzo, a costruire in piano, ciò che prima, dall’alto, ci osservava.
Adagio, a fatica, perché i monconi, pur martoriati, conservavano la mole arcigna del vecchio cimiero, disponemmo a raggiera i petali caduti, a girare intorno, e chiudersi in un circolo allungato di maestosi scranni.
Era bello l’albero, era tornato bello, quasi come un tempo.
E noi, ammoniti dalla sua forma vinta eppure grande e forte, ne apprezzavamo l’essere nelle striature del suo volto, nelle rughe corrose del tempo sulla pelle ruvida, nel suo accoglierci ancora una volta, come figli minori, impazienti e chiassosi.
Il grande albero caduto, diventato luogo d’incontro, ci ha unito a sera in un abbraccio corale, in un respiro comune segnato dal vento.
Lontano, le sue radici affondano ancora dentro la terra, avvinte nei solchi scavati nel tempo, come rughe sospese, dentro il mondo.
Francesco “Ciccio” Campolo *
MASCI Reggio C. 4
*Riflessioni sull’uscita di Comunità a Mannoli