L’emozione di un cammino
Otto Adulti Scout della nostra Comunità MASCI Reggio Calabria 4 hanno percorso, alla fine del mese di luglio, il “Camino de Santiago”. Riportiamo qui di seguito le riflessioni di viaggio del nostro Francesco Campolo, uno dei partecipanti:
1° giorno – Venerdì 26 luglio 2013
Sarria – Portomarin
L’emozione di un Cammino
…Camminare è facile, quasi elementare.
Un piede dopo l’altro, a spostare il peso del proprio corpo avanti, facendo peso ora sul destro, ora sul sinistro … e così via. I nostri genitori ce lo hanno insegnato da piccolissimi, poco dopo averci spiegato come ripetere “mamma” e “papà”.
Eppure, l’abbiamo dimenticato … o meglio …, abbiamo disimparato a camminare. Non ne siamo più capaci. Lo ha detto Ivana, alla fine del nostro primo giorno sul sentiero millenario: “ Il mio Cammino finisce qui … non ce la posso fare!”. Anche Sabrina, mentre raggiungeva l’albergo di Portomarin dopo poco più di 20 km di strade della Galizia, con una andatura a gambe leggermente divaricate, stile puerpera diretta alla sala parto, diceva che i suoi muscoli “erano praticamente distrutti”…
Visto? Abbiamo disimparato a camminare, perché i nostri (infiniti) comodi ci hanno tolto quello che, da piccolissimi, abbiamo cominciato a fare, con poca fatica.
E adesso, dispersi nelle bellissime campagne galleghe (si dice: gaglieghe…), come neonati indecisi, cerchiamo di capire, di nuovo, come si fa a mettere un piede dopo l’altro, così, per sei, sette, otto ore di passeggiata.
Con emozione, però. Perché il Cammino verso Santiago è una grandissima emozione che si vive da soli, con sé stessi e i propri dubbi, ma insieme a innumerevoli “peregrinos” che ti superano, con un sorriso, e ti dicono “Hola!”, oppure “Buen Camino!” e a cui rispondi con le stesse parole, valide per tutti (anche per gli australiani, i brasiliani, i tedeschi, i francesi ecc. ecc.). Centinaia di persone, da ogni parte del mondo.
Ovviamente familiarizziamo più facilmente con gli italiani, come Gaetano, catanese – allenatore di pallacanestro, che arriva da lontano, proprio dall’inizio del Cammino francese (700 km più indietro), dalla cittadina di S. Jean Pied de Port, sulle montagne dei Pirenei e che ha le gambe fasciate da guaine protettive, grossi scarponi luridi ed una andatura caracollante, zoppicante, perché, ci spiega, ha “una patata sotto il piede sinistro”, oltre ad altri dolori sparsi che si intuiscono solamente.
Ma ormai, aggiunge, il peggio è passato e le prossime tappe (cioè quelle che aspettano anche noi) sono “praticamente ridicole”. E ci mostra il rilievo altimetrico con i percorsi che ha già superato (!), ovvero: scalate di montagna ripidissime e discese a precipizio, che hanno fiaccato la sua resistenza inducendolo, in alcuni casi, quasi ad uno sconsolato ritiro. Che però, per fortuna, non si è concretizzato, essendo prevalsa la voglia di proseguire (“Ultreya!!”) e, adesso, ormai, è facile … (sic).
Noi ci guardiamo di sottecchi, quasi vergognandoci un po’ per il “nostro Cammino”, che è facile, sì, come dice Gaetano (sic) e neanche tanto lungo rispetto al tragitto completo (800 km.: sic – sic), ma ci porterà a ricevere la Compostela, quindi vuol dire che è bello tosto comunque e noi, per come siamo arrivati qui, ne siamo orgogliosi e fieri. Punto.
Lasciateci solo il tempo di imparare a camminare, un’altra volta…
E camminare è proprio bello: lungo incantevoli sentieri di campagna, circondati da campi di verdissimo granturco, tagliati dall’azzurro del cielo e da boschi lussureggianti attraversati da sentieri in piano e a volte così tortuosi e ripidi che neanche i peregrinos in bicicletta riescono a percorrere, essendo costretti a diventare anche loro, per brevi tratti, “caminantes”.
Facciamo bellissimi incontri: come quello con Antonio, un insegnate di religione che è partito a piedi da Lourdes (!!!) ed ha già all’attivo oltre quattro settimane di cammino. Si ferma con noi, che nel frattempo abbiamo trovato uno slargo ombroso fra alberi e cespugli odorosi (ed anche uno strano fungo arancione, che fotografo) e che stiamo per cominciare a pregare, seguendo le tracce che Catia ha trascritto per tutti noi in un delicato e utile taccuino di viaggio.
Con Antonio recitiamo la dolcissima benedizione del pellegrino e lui ci racconta che ha deciso di camminare, tutto questo tempo, da solo, perché deve prendere delle “decisioni importanti” per la sua vita e ha bisogno di riflettere con calma. Peppe gli dice, col suo solito candore mistico, che se pensa di sposarsi non è il caso di riflettere a lungo… ma Antonio ha lo sguardo sereno e diritto di chi, giorno dopo giorno, sta davvero pensando intensamente alla sua vita. E continuerà a farlo, almeno fino all’arrivo a Santiago.
E, prima e dopo Antonio abbiamo visto, incontrato e camminato con un sacco di gente, fra i quali (ricordo) Veronica, una ragazza di Buenos Aires che, in un discreto italiano, ci racconta che nella sua città oggi le previsioni del tempo davano l’indicazione di possibili nevicate (solo + 2 gradi centigradi) e che, considerato il periodo di “vacaciones” che può permettersi di trascorrere, ha deciso di percorrere un tratto del Camino per poi andare a Parigi, Londra e chissà dove altro ancora …
Quanta gente. Quanti Cammini. E forse è vero che nessuno sa bene perché sta camminando adesso, anche se continua, imperterrito, a farlo.
Tutti, siamo peregrinos sulla via di Santiago.
La prima nostra tappa parte poco dopo le otto da Sarria, che attraversiamo salendo verso la parte alta della cittadina e dove facciamo subito i primi acquisti (Piero C. compra il suo bastone, che non abbandonerà più). Il cielo è nuvoloso, promette pioggia e la temperatura non supera i 20 gradi centigradi. Ottima per camminare .. se non piove. Ma non piove e non pioverà per tutto il giorno anche se le nuvole, nel pomeriggio, si dispongono a pecorelle. Ma niente acqua, tantomeno a catinelle.
Il borgo vecchio che attraversiamo, inerpicandoci, ci offre scorci di un paesino ordinato e sonnolento, che però lasciamo in fretta, dopo aver chiesto ad un gentilissimo signore le indicazioni per la nostra prima “fletcha amarilla”, la freccia gialla che indica il Cammino e che i pellegrini, soprattutto quelli di lungo corso, seguono ormai quasi in automatico, scorgendone le forme diverse ad ogni incrocio, con la coda dell’occhio.
Le frecce sono l’indispensabile strumento di direzione (la vera bussola dei viandanti), che una mano benigna rinfresca, di tanto in tanto, macchiandola di giallo vivo. A volte, gruppi di amarrillas colorano interi tratti di strade, o di muri, o di pietre, o di pezzi di legno, o di alberi … lungo il percorso. Nei rari punti dove le frecce non si vedono, alcuni peregrinos hanno costruito con pietre simboliche frecce giganti, a indicare la via.
E noi tutti, a piedi o in bicicletta (e quanti sono i ciclisti, coloratissimi e acrobatici fra le pietre), imbocchiamo con sicurezza strade, stradine, viottoli, sentieri sterrati e pietrosi, carreteras, ponticelli sospesi su piccoli torrenti, discese, salite, lunghi rettilinei in pianura.
Nel nostro andare, perdiamo rapidamente di vista Piero C.: col suo bastone prende il passo, rapido, e sparisce alla nostra di vista dopo circa un chilometro di strada e arriva, senza soste, diritto alla meta, alcune ore prima.
Noi, invece, camminiamo più lenti, assecondando le difficoltà del percorso e, soprattutto, le esigenze degli affaticati del momento. Peppe, nonostante un brutto colpo preso ad un malleolo il giorno prima della partenza dall’Italia, tiene un buon ritmo e si avvantaggia su di noi prendendo un discreto vantaggio, in compagnia di Maria Laura. Li ritroveremo a pranzo, seduti in uno dei tanti, gradevoli locali che la gente del posto ha creato a beneficio dei pellegrini, cui assicurano vitto e, in qualche caso, anche alloggio.
Le insalate mixte che mangiamo tutti assieme, dopo circa sei ore di cammino, sono fresche e gustose (oppure siamo solo molto affamati – e stanchi).
Fatto sta che hanno qualcosa di magico perché Ivana si rivitalizza e, dopo essere arrivata affranta alla sosta, ne esce pimpante ed in forze e si mette a tirare il gruppo, segnando il tempo con un passo serrato e costante … miracoli delle insalate.
Oppure, altra possibilità, sta imparando a camminare (di nuovo).
Lungo la via, oltre le piccole piramidi tronche che segnano i km all’arrivo (a Sarria fotografiamo quella con il n. 111,5), troviamo una vegetazione lussureggiante, con magnifici alberi di melo a costeggiare i sentieri. Tante mucche, il cui passaggio prima del nostro, è… come dire … inequivocabile e che ci conducono in un magnifico scenario bucolico, punteggiato da vecchi casali riempiti da covoni di fieno e con enigmatiche costruzioni sopraelevate, strette e lunghe, sulle quali campeggiano, a volte, croci di pietra. Le pareti sono fatte da mattoni forati e, ad un primo sguardo, le scambiamo per grandi urne cinerarie, a memoria dei defunti … scopriremo dopo alcuni chilometri che invece sono depositi per la raccolta di cereali (mais, soprattutto) e che in spagnolo vengono chiamati “horreos”.
Ai margini dei campi, i grandi covoni di fieno vengono spesso incellophanati a formare enormi biglie bianche, disposte ordinatamente, in attesa, probabilmente, di essere spostate altrove. Spesso, accanto a queste, altre enormi biglie di cellophane nero ci fanno pensare ad una sorta di raccolta indifferenziata… (bianco – nero … eterno dilemma). Ma forse anche su questo sbagliamo, ma non ci fermiamo a chiedere a nessuno la differenza.
I profumi ed i colori ci investono in pieno e sono le nostre uniche compagnie, visto che rumori di traffico e di civiltà (già .. la civiltà ..) non ne esistono proprio. Siamo soli in mezzo al verde e camminiamo tutti insieme e possiamo anche cantare, tutti insieme (“danza la vita al ritmo dello Spirito … danza e cammina …”). Eh sì, ormai camminiamo danzando, o forse ci fanno troppo male le gambe e zompettiamo sconnessi, spostando sgraziatamente il peso per non sentire troppo dolore.
Ma procediamo più forti e volenterosi, adesso che siamo vicini alla meta del nostro primo giorno … Portomarin ci accoglie infatti in un bel pomeriggio di sole affacciata sul suo lago artificiale, che attraversiamo in alto, superando un lungo ponte sospeso e attaccando – con fatica – la “scalinata del pellegrino”. Il paese è carino, come tutti i borghi collinari che abbiamo intravisto (siamo adesso a 570 msl). Abbiamo solo il tempo di comprare un po’ d’acqua e concederci finalmente l’agognato riposo, dopo circa otto ore di marcia.
Siamo in cammino. Orgogliosi di esserlo. Anche per le preghiere che accompagnano i nostri passi e che dedichiamo a tutti i nostri cari lontani. Alle otto c’è la messa, poi si mangia qualcosa (il famosissimo caldo gallego) e via a nanna, pronti per la prossima avventura. E’ solo il primo giorno.
Un saluto affettuoso da noi, peregrinos sulla via di Santiago.
2° giorno – Sabato 27 luglio 2013
Portomarin – Palas de Rei
Ahi! Che mi lorunu i gambi….
Ricordo quando facevo allenamento di pallavolo … saranno passati alcuni anni … 40 circa. Bene: a volte sostenevo allenamenti massacranti che il mio fisico imberbe reggeva benissimo, salvo qualche (leggero) risentimento quando esageravo.
Non mi facevano così male le gambe da quando facevo allenamento di pallavolo: “Ahi, che dolor!!”.
E oggi, proprio perché siamo giovani e forti, abbiamo deciso di fare la sosta per mangiare dopo soli 20 km di marcia (!), condotta ad una media di poco superiore ai 4 km/h. Solo che oggi, per giunta, faceva freddo e abbiamo dovuto far ricorso a felpe e maglioncini di pile e non sono neanche bastati. Infatti, dopo aver mangiato una gustosa insalata e bevuto due bei bicchieroni di Estrella Galicia (tipica birra locale purtroppo decisamente buona…), si è messo anche a piovere.
E allora ci siamo fermati insieme ad altri pellegrini sotto un albero ad infilarci i nostri ponchos colorati. Quelli mio e di mia moglie sono gialli canari, quello di Peppe e Maria Laura blu. Sembriamo strane vetture di scuderie diverse di Formula 1, a coppie. Ma siamo decisamente meno belli e aerodinamici: somigliamo al gobbo di Notre Dame, visto che dietro portiamo i nostri effetti personali, chiusi negli zaini appesi alle spalle.
Piero C. è già arrivato e ci telefona dall’hostal mentre gli altri sono un po’ indietro.
Che fatica ragazzi, anche perché il percorso di oggi (25 km, in totale) è un continuo saliscendi, con ascese anche ripide (abbiamo perso il fiato su un rettilineo con forte pendenza lungo diverse centinaia di metri) e diversi tratti su duro asfalto, che hanno messo a dura prova le articolazioni.
Abbiamo camminato insieme a molte più persone. Cioè: il tragitto di ieri si è snodato quasi integralmente nei boschi, in mezzo ad alberi fitti che occludevano la vista. Oggi abbiamo percorso numerosi, lunghi rettilinei e abbiamo potuto accertare quanta gente ci sia lungo il Cammino. Di tutte le parti del mondo. Incontriamo ad un certo punto due ragazzi portoghesi (o forse brasiliani), uno dei quali cammina indossando grossi calzettoni infilati dentro due comode “tappine” infradito.
Non abbiamo avuto il coraggio di chiedergli se era a suo agio nel viaggiare così, oppure gli facevano così male i piedi da non riuscire più ad infilare un paio di scarpe. Ma procede spedito, chiacchierando piacevolmente col suo compagno di strada.
Io e Peppe, poi, per un lungo tratto, siamo stati insidiati (insidiati è proprio la parola giusta) da tergo da una gentilissima signora inglese, di almeno (!) 60 anni che, col suo passo rapido e stretto non si è fatta distanziare neanche di 1 metro, salvo che nelle salite più dure, dove arrancava un po’ e riuscivamo a guadagnare metri. “Peppe… la signora inglese sta per inghiottirci…”. “Sì, ma io non ce la faccio ad andare più forte di così…”. Comunque, quando noi, esausti, sfatti e senza fiato, ci siamo fermati a mangiare qualcosa, abbattendoci sui muretti della prima locanda utile, la signora inglese, con una rapida sbirciatina alla nostra resa incondizionata, ha continuato imperterrita segnando il tempo con le sue due bacchette da passeggio. Sarà che, da inglese, è abituata alla pioggia … (magra consolazione). E comunque siamo pellegrini e nessuno sta facendo una gara… (altra consolazione).
Il Cammino di oggi si è presentato con un tracciato più monotono del giorno avanti, ad eccezione del primo tratto in pieno bosco, in forte salita, subito dopo aver lasciato Portomarin e dopo la foto di rito nella piazza principale scattata da un simpatico peregrino ciclista. Per il resto sono stati perlopiù percorsi adiacenti a strade di scorrimento della zona, spesso ridotti a sentieri terrosi paralleli all’asfalto, ovvero a camminamenti molto stretti, protetti da siepi che ci nascondevano alla vista.
Anche oggi le preghiere ed i canti hanno accompagnato il nostro andare, insieme ad altri discorsi un po’ più frivoli, sui quali è preferibile sorvolare, visto che siamo in pellegrinaggio …
Camminiamo insieme, anche quando, per le forze a disposizione, alcuni sono costretti a staccarsi leggermente dagli altri. Domani ci aspetta quello che Piero C. ha definito il “tappone dolomitico” e non perché si dipani sulle montagne, ma perché è il più lungo di tutti: quasi 30 km.
Ce la faremo? I dolori alle gambe, almeno i miei, sono belli forti e, quindi, una volta raggiunto il traguardo (sotto alcune gocce di pioggia) di Palas de Rei, occorre riposo assoluto, Santa Messa alle 20.00, cena e subito a dormire. Anche perché domani, fra l’altro, occorrerà partire anche prima.
E’ il Cammino: un pellegrinaggio che migliaia di persone compiono ogni anno sotto il peso di zaini pesanti e fasciando i piedi e le gambe doloranti con bende, cerotti e fasce di ogni tipo, ritrovandosi a fine giornata nelle chiese del percorso zoppicanti e con lo sguardo un po’ perso. Però siamo tutti qua (anche noi!), uno dietro l’altro, anche sotto la pioggia, diretti a Santiago.
Penso sempre più ammirato a tutti coloro che sono partiti da molto, ma molto più lontano e che sono arrivati oggi (con noi) a soli 70 km dalla Cattedrale di San Giacomo e che insistono nel loro proposito, fermamente e, chi più chi meno, dolorosamente. Anche Gaetano (il catanese) l’abbiamo visto affaticato più che mai, ciondolante e con passo decisamente malfermo, impegnato in quella dura e lunga salita rettilinea che Ivana ha affrontato con un piglio di straordinaria volontà. Ci ha detto che ha dovuto prendere due antidolorifici e che lo zaino, oggi, è davvero, ma davvero pesante… Forza Gaetano! Contiamo di rivederlo in serata qui, a Palas de Rei, dove stiamo per entrare in chiesa per assistere alla messa, al termine della quale riceviamo la bellissima benedizione del pellegrino.
Adesso, dopo la foto scattataci da una simpatica ragazza italiana ed una rapida cena, che Piero M. e Peppe chiudono con uno dei loro sigari, tutti a letto!
… Ahi che dolor!
3° giorno – Domenica 28 luglio 2013
Da Palas de Rei a Arzua
Il tappone dolomitico – Un sorriso nella tempesta
Piero C. l’aveva detto ieri, parlando della tappa di oggi: è il tappone dolomitico! Non sapeva ancora quanto si sarebbe avvicinato alla realtà … durissima realtà. Sì, perché il percorso di oggi è stato una vera prova, un mettersi in gioco in profondità, quasi una espiazione.
La mattina era iniziata con una tranquilla colazione e la partenza del gruppo, tutti insieme lungo una bella discesa sulla quale cominciavano a cadere sottili fili di pioggia accompagnati, sullo sfondo della pianura vicina, da un sorridente arcobaleno, che non lasciava presagire nulla di particolare se non che, anche quest’oggi, non avremmo sofferto il caldo.
Il tragitto, ancora una volta immerso in splendidi boschi di querce ed eucalipti, ci portava vicino ad una deliziosa chiesetta antica, nella quale era esposto il Santissimo e, quindi, si snodava tranquillo sino a quella che una delle nostre guide cartacee che portavamo negli zaini definiva “una zona selvaggia”, che altro non era che un sentiero di un borgo periferico, sufficientemente anonimo, chiuso da una vegetazione bassa e cespugliosa e da qualche palazzotto basso e brutto, nato solo per disturbare lo sguardo.
Superato il monumento con incisi i nomi degli appartenenti all’Ordine dei custodi del Cammino, ci rituffiamo in un sentiero boscoso lungo il quale la pioggia comincia a cadere più insistente e ci induce a indossare nuovamente i nostri ponchos. Incontriamo una simpatica famigliola spagnola composta da papà, mamma figlioletta e cane, che caracollano nel sentiero. La piccina, che non avrà più di sei anni, indossa anche lei un piccolo poncho giallo e, nella bruma che avvolge il bosco piovoso, somiglia ad un vero folletto, uscito a controllare il sentiero.
Arriviamo, senza grandi disturbi e dopo aver superato i primi 10 km, all’abitato di Melide vecchio, dove in un piccolo, affollato descanso nel quale svettano altissime pellegrine cicliste finniche costrette ad abbassare la testa mentre percorrono il locale, gustiamo con gran piacere delle ottime tortillas con patatas (oltre alla solita – sempre migliore – birra locale).
E decidiamo di ripartire, perché la strada da compiere è ancora molto lunga.
Peppe e Maria Laura avanti (di qualche minuto) e tutti gli altri dietro, entriamo a Melide nuovo, un agglomerato di case simile ai nostri centri urbani di periferia (forse un po’ più ordinato e pulito ..). Il centro della cittadina è affollato per la presenza di numerose bancarelle, forse per il giorno festivo o forse per qualche ricorrenza particolare, fatto sta che la gente e le strutture ambulanti rendono difficile il rintraccio delle frecce gialle direzionali, tanto da costringerci a chiedere informazioni alla gente del posto.
Ivana, ritrovatasi in un contesto urbano, decide di spedire Piero in un negozio di ottica in modo da poter riparare una stanghetta dei suoi occhiali, divelta dal resto della montatura durante il tragitto. Vista l’attesa forzata io e mia moglie decidiamo di partire subito, lasciandoci dietro le bancarelle e la gente di Melide, certo abituata a vedere strani personaggi infagottati e multicolori che fendono le strade incuranti del mondo intorno e del traffico quotidiano.
La salita che ci porta fuori dal paese, durante la quale una ragazza orientale ci augura “buen Camino”, diviene un transito verso la magica dimensione del Camino, che è qui con noi, attraverso un lungo sentiero pieno di pietre e scivoloso, sotto un cielo sempre più scuro e minaccioso di pioggia.
Proseguiamo, andando incontro alla tempesta.
Il tracciato continua con un ritmo altalenante, con saliscendi continui, impegnativi, aperti da una salita ripidissima che conduce ad una cavalcavia e poi di nuovo dentro la natura, con le mucche, i corsi d’acqua, i fiori, i pascoli verdi.
Sentiamo al telefono Maria Laura e Ivana. Gli Angelone sono più avanti mentre Ivana, Piero M. e Sabrina sono un paio di chilometri indietro. In questo momento io e mia moglie percorriamo un tratto di pianura spoglia e con pochi alberi ed è proprio lì che scoppia, fragoroso e violento, il temporale.
All’improvviso, il tempo che era rimasto piovigginoso per tutto il giorno diventa grigio ed oscuro: la pioggia, che Maria Laura ci aveva segnalato in avvicinamento verso la nostra direzione e che loro stavano già subendo, comincia a scendere fitta. I nostri ponchos gialli sballottano nel vento e vengono sferzati dalla pioggia battente. Cerchiamo di proseguire fin che è possibile.
Ad un incrocio di sentieri stretti e perpendicolari, il fortunale si trasforma in tempesta, implacabile. La pioggia, sempre più forte e continua, ci costringe a cercare riparo sotto l’unico albero che riusciamo a individuare nella zona, sotto le cui rade fronde trovano già magro conforto due anziani pellegrini francesi. Ci fermiamo per una decina di minuti, mentre la pioggia aumenta fino a divenire torrenziale. L’albero non basta più: l’acqua passa attraverso i rami e le foglie e ci cola addosso, bagnandoci dalla testa ai piedi. Non sappiamo cosa fare anche perché il sentiero, che è in leggera salita, è diventato un torrente colmo d’acqua e fango. E la pioggia non accenna a diminuire, anzi, sembra voler aumentare ancora.
Tutti bagnati, ci stringiamo ancora sotto quella parvenza di riparo, quand’ecco, dal fondo della via, prima non distinguibile e adesso ben presente, appare la visione che, personalmente, mi porterò dietro come uno dei ricordi più belli di tutti il Cammino: lungo la strada, coperto da un cellophane trasparente stretto in vita e da un cappello grondante acqua, con passo lento e regolare, per nulla intimorito o disturbato dallo scrosciare furibondo della pioggia, compare al centro della pista un ragazzo coreano, col suo lungo bastone, che avanza tranquillo, esattamente come lo avevamo già visto la mattina lungo il percorso.
Incurante della furia degli elementi, procede con il suo placido e regolare andare, sporgendo il bastone avanti, quasi a controllare il terreno sul quale avrebbe mosso i propri passi. Nel transitare davanti a noi, fermi sotto l’albero, ci guarda, sorride e sembra volerci dire: “Che fate lì, sotto quell’albero?” e continua tranquillo la sua andatura, sotto il temporale fortissimo che lo inzuppa completamente … Quel passo docile e misurato, quel sorriso dolce, aperto, mi convince che non ha senso aspettare oltre.
Decidiamo quindi di muoverci, mentre il diluvio cala su di noi e, in breve, raggiungiamo e superiamo Iam (o Hal … non ho mai capito bene il suo nome), il quale, cantilenando una nenia del suo Paese, ci regala un altro sorriso. Guardandolo un’ultima volta, osservo i suoi piedi nudi, che si immergono nell’acqua e nel fango, preceduti dal bastone. Lui è un vero caminante, compie il suo Cammino senza indossare scarpe. Il giorno prima Maria Laura, incontrandolo, gli aveva chiesto (non so in che lingua) il perché di questo pellegrinaggio così e lui, in risposta, ha alzato prima una mano e poi gli occhi, indicando il Cielo …
In mezzo al torrente che ormai arriva e supera le nostre caviglie, ingrossandosi con affluenti continui che giungono dai lati della strada, comincia la nostra battaglia con la tempesta e con le nostre forze. A noi mancano più di sei km per arrivare, a metà fra Peppe e Maria Laura, che sono ancora avanti e gli altri, due chilometri indietro.
Piove forte, intenso e continuo. Il viottolo che percorriamo, in mezzo a campi e filari di querce, è ormai un fiume in piena. Senza possibilità di avere nulla sopra la testa, cerchiamo di viaggiare più in fretta possibile, anche se abbiamo già percorso 21 km da stamattina. Ma dobbiamo cercare di arrivare prima possibile.
Il mio poncho giallo si spezza in più parti e non mi ripara più. Lo trattengo con le mani, sotto avevo già indossato un kway, ma le scarpe, le calze, i pantaloni e tutto il resto dal petto in giù sono completamente inzuppati. Ma è necessario proseguire: fermarsi può comportare il rischio di una grave infreddatura (la temperatura, infatti, è molto bassa) e può determinare il contemporaneo raffreddamento dei muscoli ormai molto provati, con scarse difficoltà di riprendere non solo il cammino odierno, ma l’intero Cammino. E non possiamo permettercelo. Perciò andiamo avanti, con ritmo sostenuto, senza fermarci, inzuppati fino al midollo per 3, 4, 5 km, senza guardare neanche la strada.
Le gambe non le sentiamo più, rese insensibili dal freddo e dai dolori, ma dopo un tempo non definibile arriviamo al cartello che indica l’abitato di Arzua. Piero C. ci aveva avvisato che dal cartello fino al nostro albergue occorreva percorrere almeno altri due chilometri. Perciò non ci facciamo illusioni: non è tempo ancora di riposare. E quindi via, imperterriti, ancora sotto l’acqua, fradici come i pulcini che sembriamo con i nostri ponchos gialli, il mio ormai ridotto a brandelli.
La pensione che ci accoglie, che ci sembra un albergo a cinque stelle, ci obbliga a salire a piedi quattro piani di scale, ma offre una doccia calda ed un letto per riposare ….
Pensiamo a Ivana ed agli altri ancora sotto la pioggia, fuori. Sono ancora indietro, devono fare parecchia strada, ma arrivano anche loro, lasciando una scia d’acqua lungo le scale dell’hostal. In sconto dei nostri peccati, Signore.
A sera, intorno ad una bella tavola, dopo aver ascoltato la messa (il sacerdote ci ha riunito intorno all’altare, noi peregrinos, che siamo tantissimi stasera– per la benedizione finale), Peppe ha riassunto il pensiero di tutti leggendo ciò che aveva scritto sul suo taccuino, appena arrivato, anche lui molto provato dalla faticosissima giornata. Nel suo pensiero trova posto un sentito ringraziamento al Signore per tutto ciò che ci aveva concesso, per la compagnia che ci aveva regalato (con dedica speciale a Maria Laura), per la forza che ci aveva infuso nel proseguire e portare a termine il nostro Cammino quotidiano.
Grazie Signore e, come ha aggiunto Ivana subito dopo: “Ndi ‘mmazzasti, oggi!”.
Amen e Cosissia.
4° giorno – Lunedì 29 luglio 2013
Arzua – Pedrouzo
Una tappa di trasferimento
Dopo il temporale che abbiamo subito ieri, il tempo si è mantenuto uggioso per tutto il percorso del 4° giorno, con qualche scroscio isolato d’acqua, ma ridotto e limitato solo alla prima parte della giornata. Il Cammino è iniziato con una piacevole discesa in compagnia di molti altri peregrinos ed è proseguito con altri magnifici scenari naturali, cui è impossibile abituarsi.
Oggi Piero C., nonostante le fastidiose “bampole” ai piedi, ha deciso di tenere il passo con Sabrina, accompagnandola e imponendole un passo ritmato, dall’andatura più rapida, intervallata dai suoni ritmici del suo bastone sbattuto per terra. Li abbiamo persi di vista presto, lodando Sabrina per la sua forza d’animo.
Abbiamo continuato così per gran parte della mattina, con un buon ritmo, per quasi 15 km. Poco prima dell’abitato di Gonzar, però, Ivana decide di smettere le scarpe, per affrontare il Cammino con comodi sandali. Dopo pochi minuti raggiungiamo Peppe e Maria Laura per una breve sosta riposante, condita da tortillas, bocadillos con chorizo casero (salame di casa) e la nostra ormai familiare Estrella.
Alla ripresa, nonostante i dolori alle gambe, riprendiamo con buona lena verso la nuova meta che spostiamo di qualche chilometro in avanti rispetto alla previsione di Pedrouzo, con destinazione Amenal, più vicina a Santiago.
Teniamo i contatti con Sabrina, che al telefono sentiamo un po’ stanca. I boschi di eucalipti disegnano sul terreno sofisticati intrecci di filamenti rossastri, composti da lembi di corteccia staccatasi dagli altissimi tronchi. Il sentiero, però, è pulito, sgombro da rami, rifiuti o ingombri di qualsiasi tipo. Nella tappa di ieri abbiamo incrociato quello che sembrava un pellegrino al contrario, cioè un uomo intabarrato nel suo poncho blu, che, lungo il sentiero, raccoglieva qualcosa. Appena visto, sembrava un contadino che raccoglieva in giro frutti o altro di commestibile: sbagliato. Era uno dei manutentori del Cammino, armato di bastone da raccolta e di voluminosi sacchi per la sporcizia.
Il Cammino, quindi, è sorvegliato e mantenuto in buon ordine. Le stesse fletche, immagino, sono ritinteggiate periodicamente.
Camminiamo ancora per diversi chilometri e cominciamo ad accusare la stanchezza della giornata. Nel frattempo scopriamo che alle 18.30, nella cittadina di Arca, si terrà una messa in italiano, alla quale contiamo di partecipare. Se Dio vorrà.
Sabrina, nel frattempo, è arrivata a destinazione e, con la poca voce che le è rimasta, ci esorta a proseguire, fino a poco dopo il segnale che indica 15 km da Santiago e lì, troveremo ciò che stiamo cercando. E infatti è così: un ultimo sforzo per le nostre malmesse giunture e, dopo un sottopasso ed una ripida salita, giungiamo al riposo.
Un paio d’ore di siesta e siamo tutti pronti per farci accompagnare indietro (in macchina, però) verso Arca, per partecipare alla messa in italiano, celebrata da un anziano sacerdote, alla presenza di un nutrito gruppo di consorelle che, l’indomani partiranno da Sarria per affrontare a loro volta i 111,5 chilometri fino a Santiago.
Anche stasera, il sacerdote invita i peregrinos intorno all’altare per impartire la benedizione. Quindi, fuori dalla chiesa, ci sediamo (qualcuno si corica) sul prato che gira intorno all’edificio sacro. Ritroviamo gli scout di Palmi, che avevamo visto lungo il Cammino. Il tempo si è rimesso al bello, anche se tira, ogni tanto, un vento fresco e nel cielo si rincorrono grosse nuvole bianche.
Sediamo in circolo ed il Magister invita ognuno di noi a parlare della propria esperienza e delle proprie emozioni fino adesso vissute. E’ un giro di commenti belli e partecipati quello che viene fuori, dove alcuni raccontano le proprie impressioni più forti, altri ricordano episodi significativi, qualcuno, per la commozione, non riesce neanche a parlare. E’ il momento più intenso della giornata per tutti noi, distesi su un prato verde, sotto un cielo finalmente azzurro, mentre ci raccontiamo quello che il Cammino ci sta insegnando.
Il tempo di fare qualche foto e due chiacchiere con Paola, una 29enne argentina che, partita il 16 giugno in tenda con il suo cane Tango da S. Jean, conduce il suo cammino in solitudine e modestia, non avendo molti soldi da spendere, come lei stessa ci racconta in un buon italo/spagnolo e cercando rifugio in zone tranquille, dove poter trascorrere la notte. Arriverà a Santiago e poi a Finisterre, sempre a piedi, per altri (gli ultimi) 100 km fino al mare. Il Cammino è anche questo.
Lasciamo la chiesa, la bella canonica ornata da numerosi vasi colmi di gerani, dopo che alcuni di noi, sui muretti lì intorno, confessano a Dio – e a due sacerdoti – i propri peccati.
Uno dei due sacerdoti ci ha spiegato come i pellegrini, un tempo, usassero confessarsi proprio lì ad Arca, per mondare le proprie anime. E poi, alcuni km più avanti, in una località chiamata Lavacolla, lavassero il proprio corpo e le proprie vesti per poter giungere puri al cospetto di San Giacomo (il lavaggio del corpo l’abbiamo fatto anche noi, abbondante, durante il Cammino, quando il Padreterno ha spalancato sulle nostre teste le cateratte del cielo).
Una serata bellissima, insomma, che termina con un buon bicchiere di ron (rum) nel cortile del nostro riparo notturno. Tempo di andare a letto. Domani si marcia ancora. E questa volta, fino a Santiago.
5° giorno – Martedì 30 luglio 2013
Amenal – Santiago de Compostela
Santiago
Ad Amenal abbiamo dormito proprio sul Cammino: cioè, fra il sentiero segnato dalle amarillas e l’ingresso dell’albergue c’erano solo pochissimi passi. Quindi, ricevuta già la visita di molti peregrinos in cammino desiderosi di una rapida colazione e dopo aver chiesto a due gentili coniugi tedeschi di farci una foto (ufficiale: siamo tutti in divisa), partiamo per Santiago.
Ivana è ringalluzzita, ringiovanita, senza più dolori, senza affanni. Lungo la prima salita, peraltro lunga e con discreta pendenza (che però affrontiamo come un modesto rettilineo di pianura), fa da apripista, è al comando, segna il passo, tiene il ritmo.
“E’ un miracolo!” dice Peppe.
Tutti quanti, in effetti, bruciamo sotto le scarpe i primi 5/6 km in poco tempo, col rischio di non guardare e scoprire quello che il Cammino, continuamente, ci offre.
Cantiamo (anche le canzoni tipiche della processione di Festa di Madonna …), preghiamo, andiamo avanti.
Lungo i rettilinei ci rendiamo conto di quanta gente, oggi, è in marcia: tantissimi. Nel raggio di 300 m ci saranno almeno 100 persone, di ogni tipo, di ogni razza, di ogni età. Tutti diretti alla stessa meta.
Un nutrito gruppo di ragazzi spagnoli si fa notare per le propria meravigliosa gioventù e per il proprio passo sostenuto, più rapido del nostro (e ci mancava …). Per strada ritroviamo alcuni ragazzi italiani con i quali avevamo diviso la cena due sere prima, a Palas de Rei. Ci raccontano che due di loro non ce l’hanno fatta a raggiungere Santiago a piedi, visti i dolori e i numerosi acciacchi che hanno, via via, riportato. Loro hanno 25 anni, noi qualcuno in più, ma siamo tutti qui in marcia, pieni di dolori e cerotti sì, ma ancora fermi sulle gambe. Ci sentiamo felici per questo.
La strada conduce al bellissimo monumento dedicato a San Francesco, poggiato su una altura a fianco del percorso. Ci fermiamo tutti lì (mamma quanti siamo!!), chiediamo aiuto per la foto di rito, ne facciamo a nostra volta ai tanti che ce lo chiedono e via di nuovo. Santiago è veramente vicina.
La strada inizia a scendere e, dietro una curva, si vedono già le prime case della famosa città galiziana dove siamo diretti.
Siamo proprio vicini. Quasi non ci crediamo, ma quelle case sono a poche centinaia di metri. Superiamo un ponte, accanto alla strada, realizzato con una passerella di legno. Siamo in fila indiana con un nugolo di altri pellegrini e, finalmente, ci tuffiamo nelle vie di Santiago!
Dinanzi al cartello stradale che indica l’inizio (topografico) cittadino, Sabrina si lancia, lo abbraccia e poi si butta per terra, sull’erba. “Coraggio, su alzati ! Dobbiamo fare la foto, siamo arrivati!!”, la incoraggiamo.
In realtà non siamo proprio arrivati: il Cammino termina alla Cattedrale e, da qui, l’architettura inconfondibile della chiesa, proprio non si vede. Quindi, forza, un’ultima fatica.
Da lontano, quasi di striscio in una viuzza, si intravede una delle guglie. Camminiamo ancora e, quasi senza accorgercene, arriviamo su un lato della Cattedrale.
Ci afferriamo tutti insieme, chi per mano, chi a braccetto e, come una catena unica, scendiamo i gradini che ci portano, dopo pochi metri, nella stupenda, straordinaria piazza della Cattedrale.
L’enorme selciato è cosparso di zaini, gente, bastoni, colori, sacchi a pelo, biciclette, gente felice e stanca che, con eguale meraviglia, si guarda intorno.
Siamo arrivati! Siamo davvero arrivati adesso!
Ci abbracciamo, scambiandoci gli auguri e un bacio affettuoso di benvenuto (e di congratulazioni). Più di uno ha le lacrime agli occhi.
Ci sediamo per terra, ci corichiamo sulle grandi mattonelle, attoniti. Ma è troppo bella questa piazza ed è meravigliosa la facciata della Cattedrale.
Mentre siamo ancora stupiti per l’arrivo, una bella ragazza si avvicina a Piero M. e gli chiede se vuole rilasciare una intervista per la televisione spagnola. Deleghiamo Piero C., che se la cava meglio di tutti con lo spagnolo. Il resto del gruppo gli fa da contorno, con le nostre divise e le nostre facce allegrestanchefelici.
L’intervistatrice chiede a Piero notizie su come noi, peregrinos italiani, abbiamo seguito la vicenda della terribile tragedia dell’incidente ferroviario che ha mietuto decine di vittime in Santiago, pochi giorni prima. Piero se la cava bene e andremo in onda sulla televisione spagnola (scatto alcune foto per immortalare l’evento).
Che forza il MASCI RC4!!
Adesso, però, è tempo di entrare in Cattedrale e terminare il nostro Cammino. Grazie San Giacomo per averci aiutati e protetti in questo viaggio.
Grazie Signore per tutto ciò che ci hai regalato durante il Cammino.
Ognuno recita le proprie preghiere dinanzi alle meraviglie della Chiesa.
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Il viaggio si conclude con il ritiro della Compostela, che porteremo con noi, a perenne ricordo.
Buen Camino, peregrinos!
Todo se comple (tutto è compiuto)
Ho aspettato un giorno prima di iniziare a scrivere le mie personali riflessioni sul Cammino di Santiago. Non volevo che le emozioni del momento (e i dolori alle gambe) potessero mascherare i miei veri pensieri.
Credo, quindi, che la prima domanda per la quale bisognerebbe cercare una risposta è: che cosa è il Cammino?
La mia risposta è semplice: non lo so. E non perché mi risulta difficile trovarne una, quanto piuttosto perché mi sembra di trovarne tante. E si sono affollate tutte nella mia mente già dall’inizio del viaggio, turbinando e scomponendosi a vicenda.
Il Cammino lo si capisce guardando le facce della gente che ti passa accanto e che, a differenza di quello che accade in qualunque altro posto (e per così lungo tempo), non cambia mai direzione. Va sempre avanti diritto. Al massimo, si concede delle brevi soste (per un minimo di sostentamento), poi riprende la strada, sempre avanti, senza voltarsi indietro.
La gente cammina piano, o veloce, oppure zoppica, o ancora si aiuta con uno o due bastoni, portandosi dietro, spesso, zaini pesanti e ricolmi.
Il Cammino lo si capisce guardando una fila di gente che percorre la stessa strada, gli uni insieme agli altri, ognuno sulle proprie gambe. O meglio, il Cammino si tenta di comprenderlo così, perché, nel frattempo, ho immaginato, proprio scrutando i volti della gente di tutto il mondo, lungo la strada, i motivi che spingono tutti quanti a camminare o, come noi, a cercare in pochi giorni di re-imparare a camminare.
Il sacerdote che, in Cattedrale, ieri sera, ha celebrato la messa, ha detto che il Cammino è un simbolo che indica, per i credenti, la meta, che è Cristo.
Non so dire, guardando i volti della gente, se in tutti ho ritrovato questa motivazione: certo, da credente, mi piace pensarlo. E mi torna in mente il giovane coreano sorridente, in mezzo alla tempesta di tre giorni fa, che abbiamo ritrovato ieri sera, con il suo inseparabile bastone accanto, seduto in piazza (non avevo nessun dubbio che sarebbe arrivato), davanti alla Cattedrale, ad occhi chiusi, in perfetta posizione yoga del loto.
Perciò, tornando agli interrogativi di prima: che cosa è, il Cammino?
Tante cose insieme, certamente, che trovano posto nei nostri pensieri. E’ un pellegrinaggio, prima di ogni altra cosa.
Un pellegrinaggio vissuto sulla propria pelle, sulla propria fatica, giorno dopo giorno, momento dopo momento, passo dopo passo. Sì, perché davvero si ricordano tutti i passi di questo Cammino e io, personalmente, cerco di conservarli tutti gelosamente, nel mio cuore e nella mia mente, chè non fuggano mai.
Ma perché il Cammino è così importante? Perché la figura della Cattedrale diventa quasi un luogo di espiazione, dove, chi arriva, non può fare altro che sedersi per terra e guardare in alto, lì dove svettano le imponenti guglie?
Alcune risposte: è forse dovuto alla dura fatica che si è provata durante il viaggio? E’ forse la sofferenza sopportata lungo la strada? E’ l’“arrivare alla meta”? E’ il tempo che si impiega per percorrere il tragitto?
Il tempo, già, il tempo … scandito solo dai passi dei piedi e dai movimenti delle gambe. Da nient’altro … Il tempo, sul Cammino, diventa più lungo, si espande, si moltiplica.
I singoli (i singoli metri) percorsi diventano (finalmente) parte della nostra vita. Ci accorgiamo di cose che non avremmo mai visto e che non ci avrebbero mai trasmesso alcuna emozione. Per noi che abbiamo camminato insieme è stato un regalarsi ogni passo, ogni gesto, guardandoci, da vicino o da lontano e incoraggiandoci a continuare, pregando il Signore di vegliare su tutti.
Quindi: è importante il tempo che, durante le molte ore di cammino, viene dedicato alla riflessione, alla preghiera, alla meditazione?
Oppure, come diceva il sacerdote, è la meta che, alla fine, conta veramente?
Il pellegrino va alla casa del Padre, percorrendo discese e salite (e quante ne abbiamo fatte …), su montagne e pianure, col bello e cattivo tempo: allora, il Cammino, come dice qualcuno, è nient’altro che la nostra vita! Una vita in piccolo, che portiamo avanti sulle nostre gambe, affidandoci al nostro cuore ed alle nostre forze.
Certo, il Cammino è anche questo.
Ma quante altre cose è e quante – e infinite – cose rappresenta e ha rappresentato per le migliaia e migliaia di pellegrini che da oltre 1000 anni compiono lo stesso tragitto per andare a rendere omaggio alla tomba di San Giacomo?
Sulla maglietta di un gruppo di giovani peregrinos, indossata una vola giunti in piazza, campeggiava la scritta: mucho corazones, un solo Camino. Tanti cuori, sì, che battono insieme.
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Siamo, infine, arrivati alla nostra meta, concludendo un viaggio meraviglioso.
“Adesso” diceva qualcuno “non potremo più dire a tutti quelli che incontriamo quel buen Camino che ci ha accompagnato in tanti momenti delle nostre giornate. Ma il Cammino, come dicevamo prima, è anche la nostra vita.
Perciò, nel ringraziare i miei compagni di viaggio, e, soprattutto, la mia splendida moglie e nel chiedere scusa per le infinite cose che ho dimenticato, cari amici:
BUEN CAMINO A TODOS!!
Preghiera di benedizione del pellegrino
O Dio, che portasti fuori il tuo servo Abramo dalla città di Ur dei Caldei
e che fosti la guida del popolo d’Israele attraverso il deserto,
ti chiediamo di custodirci, noi tuoi servi, che per amore del tuo nome
andiamo pellegrini a Santiago de Compostella.
Sii per noi compagno nella marcia,
guida nelle difficoltà, sollievo nella fatica,
difesa nel pericolo, albergo nel Cammino,
ombra nel calore, luce nell’oscurità,
conforto nello scoraggiamento e fermezza nei nostri propositi perché,
con la tua guida, giungiamo sani e salvi al termine del Cammino e,
arricchiti di grazia e di virtù, torniamo illesi alle nostre case,
pieni di salute e perenne allegria. Per Cristo nostro Signore.
Amen
Francesco “Ciccio” Campolo
MASCI Reggio C. 4