Lo Scout e la Natura
Quando sono arrivato tra gli scout mi hanno affibbiato il compito meno apprezzato da ogni squadrigliere, neanche degno di un qualsiasi brevetto, il pulitore di sede. Per sovra mercato, dato che i pezzi forti e ambìti della formazione scout erano: pioniere, campeggiatore e pochi altri, il novizio ultimo arrivato era destinato a raccogliere erbe e insetti per il glorioso stipetto di squadriglia dove si tenevano le cose della Natura. (Allora avevamo nella torre del campanile una meravigliosa sede con angoli di squadriglia da fare invidia al mondo intero.)
Naturalista era, nella scala dei valori, il gradino ultimo vicino a cuciniere. Avevo trovato nel mio girovagare (siamo negli anni ’50) al seguito della squadriglia in marcia, sull’Aspromonte, tra le altre meraviglie, anche un bel cerambicide azzurro grigiastro con punti neri, una Rosalia alpina. Una rarità preglaciale, dissi, ma nessuno mi diede retta.
E come la polvere che spazzavo via, di tutto quello che avevamo realizzato in tanti, non è rimasto che qualche piccola foto e, nel clan, una serie di scudi colorati. Non so se si sono salvati i libri d’oro tenuti dai capisquadriglia, o le cose che avevamo raccolto o i giornali murali che facevo o i canzonieri che avevamo preparato sotto la guida di Pippo Pugliatti.
Attento alle vicende della Natura lo ero già ma non lo sapevo ancora. Leggevo molto, dai libri di storia a quelli naturalistici. L’attenzione a ciò che mi circondava mi era rimasta appiccicata andando per le foreste sveve. Girovagando con la mia zia prediletta, Dudù. Mi ha fatto vedere il bello che c’era, gustare i frutti che si incontravano, odorare le erbe profumate e raccoglierle per le tisane, preparare i cartoncini di auguri con le erbe pressate e tanto altro. I bimbi calabresi consideravano natura acchiappare lucertole e uccelletti con trappole differenti. Il massimo.
E certo. Se nessuno te la spiega, la Natura, non ci capisci niente: non sai che dice la cincia mora o il rigogolo, non capisci quell’odore particolare cosa significa, non sai quali erbe mangiare e quali legni usare per costruire cose o cucinare, né sai come difenderti. La natura attorno a noi può essere bella, rigogliosa e rilassante ma è un’insegnate muta. Se nessuno ti insegna a giocarci dentro, non lo saprai fare. Se nessuno ti insegna a utilizzarla bene, non ne avrai capacità.
B.P. invitava a giocare nella natura per imparare come vivere la città, essere buoni cittadini. Avere valori, competenze e senso di servizio. Vivere la Natura è dunque parte del nostro metodo educativo. Ma essere buoni cittadini significa avere cuore e mente che lavorano insieme ad altri che con te condividono gli sforzi per remare sulla medesima canoa. Ovverossia non basta il cuore per gestire le cose, occorre saperlo fare e occorre che anche gli altri comprendano e lo vogliano fare in sincronia: non basta amare le foreste per essere in grado di proteggerle. Non basta amare il cammino, occorre scegliere le scarpe adatte.
D’altro canto sapere fare senza cuore senza la sensibilità a ciò che ci circonda, porta ai disastri che chiamiamo impropriamente naturali. La diga del Vajont resistette, gli ingegneri sapevano il fatto loro, ma non prestarono attenzione a ciò che c’era attorno.
Davanti alla natura mi incanto. Se respiro profondamente quell’aria fresca e profumata, mi invade anche il respiro di un creatore che diventa parte del mio essere. Se bevo l’acqua alla sorgente una frescura scende nel mio corpo e con essa la linfa della vita. Un dono. E così l’arcobaleno che d’improvviso si colora sulle minute goccioline della cascata, così le meraviglie dei fiori che segnano il percorso dei bombi nel verde dei prati o il richiamo dei frutti quando sono maturi per la gioia dei numerosi raccoglitori. Sono sicuro che tutto questo l’abbiate vissuto anche voi. Ma forse non avete pensato a quanto scriverò ora.
La natura non si ferma. Cambia continuamente. E’questa la sua trappola: il cambiamento. Il vestito di un fiore dura un momento, la bellezza di una fioritura è un attimo. Il tempo importante è il futuro: quello che accadrà. Il frutto della continuità. L’immortalità della trasformazione. Per questo si è preparata nei tanti momenti che attraversano l’oggi. Il risultato è una sinergia di momenti importanti. Mi viene in mente, ancora una volta quel proverbio delle nostre parti: “Marzu faci i sciuri e maju prendi l’unuri”.
La Natura è paziente, impregnata del tempo dell’attesa. La Natura è costituita da momenti fugaci che occorre cogliere ogni volta di nuovo chè tutti sono diversi gli uni dagli altri, una diversità che non ripropone la copia di ciò che è stato. Nulla dura per sempre: nasce, vive, si trasforma. In tutto questo c’è un’idea, un fine. Vivere nel migliore dei modi possibili, diventando gli uni gli altri in una continuità che è la vita stessa. Lasciare i semi per una foresta che non vedremo mai. Quella foresta è qualunque cosa noi avremo realizzato per lasciare le cose migliori di prima dell’incontro.
Il nostro respiro, alle volte affannato, è divenuto parte del bosco che abbiamo attraversato. Lì ora vive e si trasforma. Siamo noi che continuiamo a vivere, la Natura.
Un abbraccio.
Peppino Spinelli
MASCI Reggio C. 4