Pentedattilo: banditismo e mafia
Banditismo e mafia sono due momenti chiaramente complementari di uno stesso fenomeno, che trova le sue origini in certe specifiche carenze e particolarità strutturali della nostra storia nazionale. È affermare che il banditismo attuale non sia altro che il continuatore, il legittimo erede di quelle forme di brigantaggio che caratterizzarono drammaticamente le fasi iniziali della storia unitaria italiana. Solo di recente tale fenomeno è stato il centro di ricerche serie e approfondite; e la critica più avanzata tende ormai decisamente a far coincidere il brigantaggio con un vero e proprio comportamento sovversivo e, a un tempo, profondamente reazionario, fondato su una serie di principi ed atteggiamenti assoluti, il cui complesso costituisce quel fenomeno più generale che, ancora oggi, possiamo identificare con la mafia in Sicilia, la camorra in Campania, la ‘ndrangheta in Calabria.
A monte del brigantaggio o banditismo che dir si voglia, sia quello storico che quello attuale, esiste una strutturazione organizzativa, quella mafiosa, la cui articolazione interna non è facile né individuare, né descrivere in modo soddisfacente.
È un dato di fatto che la mafia s’è mostrata capace di sopravvivere ad ogni tentativo repressivo, adeguandosi rapidamente alle trasformazioni sociali ed alle conseguenti nuove realtà.
Negli anni ’40-’50, la mafia in Sicilia era considerata la “mafia buona”, la mafia contadina, la mafia dei pascoli, dei giardini, dei poderi. Il popolo si ribellava agli abusi dei ricchi signorotti, ai soprusi, alle ingiustizie chiedendo aiuto e fidandosi di uomini coraggiosi, risoluti che magari vivevano latitanti, alla “macchia” nell’illegalità.
Siamo passati, negli anni 60, alla criminalità organizzata delle grosse speculazioni edilizie, ricordiamo, ad esempio, il “boom” edilizio di Palermo con Ciancimino, Lima e i Salvo. La devastazione cementizia che mortificò la struttura architettonica del centro storico e del paesaggio circostante a danno e consumo di bellezze architettoniche e naturali di incomparabile valore.
Seguirono gli anni 70, segnati dal controllo del traffico di droga. Sono stati questi gli anni dell’ascesa al potere malavitoso dei Corleonesi e della lotta tra le cosche dei Bontade, Inzerillo, Badalamenti… a seguire ebbe inizio la serie dei delitti eccellenti: Mattarella, Pio La torre, Terranova, costa, il generale Dalla Chiesa e tanti, tanti altri magistrati e prelati tra cui padre don Pino Puglisi. Tutori della legalità e della giustizia che pagarono con la vita la difesa dello Stato e delle Istituzioni.
Ed è doveroso ricordare anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i due magistrati che perirono sotto i colpi inferti dalla furia vendicativa della mafia, duramente colpita al cuore da restrizioni giudiziarie e leggi specifiche come il 41 bis, dal carcere duro, da retate di arresti di boss e, più di tutto, dal controllo del “denaro sporco” in banche italiane ed estere. Disegno di legge dell’allora parlamentare comunista Pio La torre, approvata dal Parlamento soltanto 6 anni dopo la morte del generale Dalla Chiesa.
Il fenomeno mafia, ciò nonostante, continuò a creare un modo diverso di pensare rapporti sociali, ramificandosi dove equando strutture statali carenti non riuscivano a svolgere per intero i propri compiti istituzionali.
In situazioni del genere si crearono spazi, anche grandi, nei quali persone particolarmente influenti per posizione economico-sociale e per puro spirito di sopraffazione, si appropriarono di sostanziosi momeni di potere non ufficiale, ma di certo effettivo.
I risultati sono stati quelli che conosciamo: un’organizzazione sempre più forte e pericolosa che si è mostrata capace di “qualificare” le proprie iniziative a livello sempre più soddisfacente. Un’organizzazione che ha sensibilmente allargato il proprio campo d’azione criminale con le nuove forme di attività organizzate su ritmi e schemi para-industriali; sequestri di persone, in Calabria, con un giro di affari di centinaia di miliardi; controllo illimitato del traffico di droga; grosse speculazioni edilizie, ecc.
Non c’è, quindi, troppo da illudersi. Parlare di mafia o di camorra, o di ‘ndrangheta, oggi, in Italia, non significa parlare di fenomeni in via d’estinzione.
La presenza d’una mentalità mafiosa, massimamente in alcune regioni del Sud del nostro Paese, è ancora massiccia e preoccupante, soprattutto per la spiccata attitudine mostrata al coordinamento di vari campi d’azione criminale, con interventi metodicamente pianificati: Napoli, Catanzaro, Cosenza, Locri, Palermo, una fitta rete di scambi criminali che stanno ad offuscare prospettive e disegni di leggi.
Rimuovere tale fenomeno, che a volte costituisce una seria remora al progresso sociale ed economico di intere regioni, non è certo obiettivo a portata di mano nè conseguibile in tempi brevi.
Ma è certo un obiettivo che impone scelte di fondo, politicamente qualificate; un obiettivo il cui perseguimento chiede più un modo nuovo di far politica che nuovi metodi di repressione poliziesca. E poi, a mio avviso, sono sempre validi i movimenti di massa, il coinvolgimento di circoli, associazioni, partiti, scuole e quant’altro abbia a che fare con collettività qualificate a far sentire alta la voce del riscatto morale di chi vive nella legalità, nel rispetto dei diritti liberali di uomini onesti.
Il MASCI, come movimento cattolico, in rispetto dei principi cardini dello scautismo, si faccia avanti più di tutti a promuovere iniziative incisive che possano svegliare sentimenti e coscienze in uno scatto di orgoglio che dica “BASTA” ad ogni forma di vita ricattabile da parte di chi ostenta forza e potere. Sfatando quell’omertà insita nella mentalità retrograda della gente del Sud: Non vedo. Non sento. Non parlo”.
Sta al semplice comportamento della quotidianità di ogni singolo che si può sconfiggere la delinquenza mafiosa. Sono i piccoli gesti, le azioni più semplici che possono dar vita all’humus più fertile per svegliare la coscienza dei giovani, essere modello di un vivere sociale dignitoso ed onesto che possa allontanare il pericolo del proliferare di quel terribile cancro che ha afflitto la nostra bella terra di Sicilia e di tante altre regioni d’Italia.
Franco Greco
Comunità MASCI Cefalù (PA)