Riflessioni sull’udienza papale del MASCI
Pubblichiamo alcune riflessioni del nostro fratello scout Giuseppe Spinelli, della nostra Comunità MASCI Reggio C. 4, sull’udienza papale dell’8 novembre 2014 che il Pontefice ha dedicato a tuttli gli Adulti Scout del Movimento e ai loro familiari.
Premessa.
Con emozione e sollievo dopo una fila interminabile che partiva dall’altro braccio del colonnato rispetto al varco d’ingresso mi sono seduto nella bella sala delle udienze Paolo VI destinata a questo incontro. Interessante la soluzione dei posti a sedere, permetteva di spostarsi facilmente. Incredibilmente ampia e slanciata, ma non con buona acustica. Il sole entrava a fiotti mescolato ai colori delle vetrate dei due grandi rosoni ellittici laterali. Avevo una macchina fotografica, un taccuino e una penna. Ho preso così immagini e appunti.
Per le immagini, devo confessare, ho patito molto, c’era sempre qualcuno che saliva davanti a me utilizzando le sedie per vedere meglio e ho ripreso, fondamentalmente, lo schermo gigante e tante mani agitate. Ma, a parte questo dettaglio, stimolato da ciò che vedevo e dalle parole prima di Sonia, poi di don Guido e infine di Papa Francesco, ho scritto le considerazioni che seguono. (…)
(…) Ciò che è stato scritto nelle mie note volanti che diligentemente tenevano il conto delle parole.
E’ festa per noi che in settemila e passa stiamo aspettando. La sala è un rumoreggiare continuo che si cheta appena, quando qualcuno parla. Si canta attraverso un coro che ci esclude e si vedono immagini del lavoro di alcuni di noi. Oggi è il momento dell’incontro tangibile con il Papa. Non parole scritte, né parole dette ma parole vissute. Non un Papa lontano affacciato alla finestra ma un Papa che scende tra noi e che si fa sentire vicino e ci parla con affetto e tenerezza.
Siamo qui perché desideriamo parole che sgorgano dalla roccia in un deserto infuocato. Siamo assetati di un’acqua fresca che calmi l’attesa per essere poi pronti a guardare, rendersi conto di quello che ci è d’attorno, preparare il nuovo cammino e, rinfrancati, continuare ad andare e partecipare.
Si cammina insieme. Compagni di strada. Una Comunità in cui si impara a convivere, a rapportarsi, a imparare sé stessi e conoscere gli altri. Perché si diventa solidali e disponibili alla testimonianza del coraggio necessario per affrontare e risolvere i problemi. E’ l’incontro che porta ad amare perché occorre un referente, un altro per poter amare. Senza un qualcuno che condivide non vi è amore, solo la solitudine dei numeri primi.
Ogni luogo, la strada del nostro cammino in particolare, può essere dunque la camera in cui scocca la scintilla che dà fuoco all’amore, per cui si impara ad amare e essere amati. Questa strada ha un cuore? Allora la seguiremo, diceva uno sciamano indio, Don Juan, altrimenti la abbandoneremo a sé stessa. Credo che per questo ci auguriamo sempre Buona Strada e la auguriamo a chi cammina con noi e a quelli che ci vengono incontro perché ambedue andiamo verso il luogo della partenza dell’altro.
Non mi sono mai posto alla ricerca di Dio perché egli mi è venuto incontro e ancora oggi ingravida la mia mente girovagando notte e giorno per tutto il mio corpo. Ho da fare con i pensieri che mi induce e una coscienza che li affronta.
Non mi pongo la fede come senso della vita, perché un dono è un dono e perché ho accettato il compito di lasciare il mondo migliore di come l’ho trovato. Non ho nessuna intenzione di presentarmi a mani vuote. Questa è la goccia di un oceano che dà senso alla mia vita.
Non mi pongo l’obiettivo d’esser maturo a tutti i costi perché lo sarò quando Dio me ne darà sentore e nei momenti necessari per risolvere un qualche problema importante. Sono diverso da un ragazzino, certo, ma voglio rimanere un po’ come mi ricordo che ero per capire i miei nipotini e mantengo il mio animo curioso come loro perché i bambini vedono più lontano degli adulti, si entusiasmano e ridono tutti alla stessa maniera.
Non mi pongo nella condizione di offrire risposte convincenti perché ognuno deve sforzarsi di trovarle da sé e perché tutti siamo responsabili di una qualche testimonianza.
Non mi pongo nel disegno di donare speranza e ottimismo perché aspiro a dare una goccia di felicità e, anche solo per un momento, vedere rilucere gli occhi di qualcuno che mi ha sentito vicino nelle mille difficoltà della sua vita. Di più, vorrei essere strumento per riuscire a dare una vita dignitosa a chiunque.
Mi pongo invece nella condizione di chiedere aiuto perché da soli non si va da nessuna parte. Questo sto pensando perché non si tratta solo di vivere il Vangelo, ma di vivere il Corano, vivere la Bibbia, vivere tutti i testi che parlano della speranza dell’uomo e che mostrano il rispetto, la cura e la bellezza del creato perché in esso vi sono i segni di chi lo ha pensato, voluto e donato. Perché il pensiero di un Essere che ci guida, ci aiuta e ci consiglia è unico e permea tutte le culture. Comunque lo si chiami.
Papa Francesco ogni tanto alzava gli occhi dai fogli di carta che teneva in mano e ci parlava semplicemente commentando una frase che tutti intendevamo. I momenti più belli. Ho preso quelle parole al volo e le ho impastate per farne un pane. E’ l’invito ad uscire da noi stessi per andare verso l’avventura del cammino, fare strada insieme. Perché le sorprese del cammino sono alla prima svolta, ai bordi della strada, e non solo: nell’aria c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire e che ci potrà stupire. Il servizio di cui siamo operatori è un modo per scoprire un mondo sconosciuto che va indagato e capito.
Il cammino affatica. Ma è bello arrivare alla meta. Ho visto Francesco tremendamente stanco sorriderci lo stesso. Con le sue scarpe nere da operaio del Creato.
E noi? Camminiamo con lo spirito giusto? Facciamo questi ragionamenti semplici? Se siamo uomini di frontiera, come amiamo chiamarci, disponibili all’avventura, siamo disponibili anche nei confronti di coloro che incontriamo? Siamo andati avanti gli altri per scoprire e anche per capire, conoscere e attuare una protezione di ciò che scopriamo?
Lo dico perché spesso dietro al nostro spirito di conoscenza e disponibilità seguono voraci lucratori che trasformano oasi rigogliose in un deserto. Dove è stato dimenticato l’Amore? Coloro forse non hanno avuto una famiglia in cui vivere appieno. La Famiglia è una comunità educativa in cui nasce e cresce l’Amore. Quell’Amore che permette di capire e rispettare ciò che incontriamo: il Creato.
Il Creato è il dono che abbiamo ricevuto tutti insieme. E nelle scritture ci viene indicato di avere un rapporto speciale e rispettoso con la creazione. Il Creatore ha voluto vivere nella natura e il rispetto di essa è l’impegno per continuare a salvaguardarla anche eliminando gli sprechi di una società che distrugge se stessa distruggendo le risorse che potrebbe riutilizzare.
E il Creato è il campo per fare quell’esperienza necessaria per comprendere i rapporti, la gestione e la vita della città. La città come lievito per la realizzazione del bene comune. “In questi tre luoghi privilegiati vi invito a testimoniare con semplicità e umiltà l’amore che Cristo ha per tutti e offrire un cuore che stia vicino a chi ne ha bisogno per fargli avere speranza nel futuro”. Così ha parlato Francesco. Una preghiera.
Considerazioni a caldo.
Non sono uscito da quella sala grandiosa del tutto soddisfatto. Qualcosa mi ha colpito. Avevo appena scritto un passo per un mio futuro romanzo immaginando i miei nipotini attorno a me.
Dicevo: “Molti in questo pianeta soffrono. Voi siete fortunati, figlioli, Un dono. Ne diamo un poco anche agli altri?”
“Aiutare gli altri che ne hanno bisogno ci sembra una buona idea” mi risponde Arianna.
“1 + 1 = 3” ripresero i due nipotini in coro.
“In matematica siamo un po’ scarsetti, mi sembra”.
“Nonno non capisci”, risponde Alessandro, subito appoggiato dalla sorella: “si chiama metafora. Significa che se facciamo insieme qualcosa facciamo di più che da soli e ancora di più di quello che farebbero le persone che si mettono insieme.” “Aha” faccio io con grande meraviglia stampata in viso, più che altro per muovere i muscoli facciali e illudermi di rimanere giovane. I miei nipotini sono contenti di avermi dato una lezione. Hanno dieci e dodici anni di età e alle volte mi fanno ragionamenti simili. Dove li avranno mai sentiti rimane per me un mistero. Metafora? Metafora.
E’ a questo punto che il Papa mi è passato davanti, lontano quattro file di mascisti con le mani alzate per fare fotografie. Mi è parso di vedere un sorriso dietro occhi stanchi. Stanco dentro. Mi sono detto: “Quest’uomo sorride, ma soffre. Ha bisogno di molto aiuto.” Mi sono sentito impotente e gli ho potuto mandare solo un veloce pensiero di energia sotto forma di affetto incondizionato. Non mollare. Ed era già uscito alla vista.
Ho considerato poi che lo abbiamo accolto in casa sua (era l’udienza che il Papa aveva concesso a noi del MASCI, certo per sollecitudine di qualcuno), con un tralàlla che nessuno voleva cantare. Non eravamo ad un fuoco di campo a cui Lui partecipava come ospite. Gli ospiti eravamo invece noi. Certe volte ho dubbi seri del nostro essere adulti. Il povero Papa avrà pensato d’esser capitato alla Route di Peter Pan. Carnevale è finito, Monsignore.
Non siamo stati capaci di fare vedere un riassunto di quello che facciamo, che si rendesse conto, non solo per sentito dire dell’impegno di molti di noi. Sapevamo quanto tempo poteva dedicarci? Si lo sapevamo, quanto leggeva ne aveva gli accenni perché era stato concordato. Il tempo a disposizione poteva voler dire di non perdere tempo in altro che la sua parola. Papa Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio, aveva anche altre cose da fare. Ho letto che rispetta gli orari al minuto secondo a meno che avvenga qualcosa di straordinario. Ecco, si vede che non siamo stati straordinari, ma solo ordinari.
Un solo momento mi sono commosso; ho pianto e non riuscivo a cantare, nel pieno della promessa e del nostro impegno a tre dita unite. Per me è stato vero, con la stessa emozione di quando nel 1954 l’ho fatto per la prima volta. Forse molti non se lo ricordano più o non ci sono passati, Molti hanno perduto per strada il loro senso del servizio e molti non sanno neppure cosa sia. Forse sono coloro che stanno a guardare litigando sulla forma delle parole e brigando per avere uno sgabello associativo non lesinando ragionamenti di parole per soddisfare e giustificare se stessi.
Dove è la nostra fratellanza scout? Dove l’Amicizia, dove il cuore? Dove lo spirito in queste lotte interne per emergere dimentichi della luna per guardare il dito? Mi immagino che avvengano anche all’interno della fortezza di San Pietro. Forse è la condizione dell’uomo che dobbiamo superare.
Le parole scritte si leggono ma è difficile dare loro la vita che qualchedun altro ha pensato. Avevo l’impressione che papa Francesco stesse leggendo qualcosa di non suo. O che non le sentisse appieno in cuor suo. Se non imposto, quasi. Ho riletto ora il suo messaggio e non capisco più se quelle parole vengono da uno scrittoio o dalla Sua penna. Il discorso del Papa aveva buone parole, certo, ma forse era meglio lasciarlo fare, che parlasse a braccio, magari un appunto con poche parole chiave e poi farlo navigare nello spirito.
Perché, lo sento, Francesco ha idee e parole di cui avrebbe parlato con la propria esperienza e, suppongo, con l’aiuto di Dio. Io amo sentire le cose che dice. Ho avuto l’impressione che ciò che leggeva non fosse legato alla spontaneità che lo contraddistingue e che in qualche maniera Egli si fosse piegato a esigenze che non hanno tenuto conto del suo cuore.
Quando ci sono le parole giuste e significative, l’improvvisazione è un dono perché si ha la capacità di metterle insieme, impastarle di nuovo, con un po’ di lievito per farle diventare una buona focaccia. Come dice Francesco e altri hanno detto prima di Lui. Ma forse è solo un’impressione. Poteva essere che andasse di fretta?
Mi ha molto colpito anche un’altra cosa. Tutti a fotografare nei modi più insoliti addosso alle transenne, come se passasse una Star. Per carpire una foto, non una espressione, un sorriso o un piccolo segno. Non per parlare con Lui. E i bambini stavano a guardare i sederi della magnifica moltitudine di gente che si frapponeva tra loro e la carezza del Papa. Suggerirei di predisporre due transenne una grande per gli adulti e, avanti, una più piccola in cui si possano rifugiare i bambini.
Lo dico perché una bambina voleva dare al Papa un suo disegno. I nobili e mobili guardiani del servizio d’ordine del Masci l’hanno mandata via dal luogo in cui si era appostata dietro la transenna che le arrivava al naso. La bambina si era messa a piangere perché non avrebbe visto il Papa e il suo regalo l’avrebbe dovuto portare indietro.
L’ho accompagnata dalla guardia svizzera un omone alto due metri e dieci che mi faceva pure impressione (e se ve lo dico io potete crederci) che con auricolare faceva funzione di gendarme per coordinare il corretto appostamento dei fedeli e lasciare libero il passaggio al Papa.
Non l’ha presa per mano, come mi sarei aspettato e portata in un luogo per i bambini, ci ha mandati via perché lì non si poteva stare dicendo di trovare un posto dietro le transenne. Non era possibile passare: le transenne rigurgitavano di gente assardellata. Lo era diventato anche il luogo da cui la bimba era stata mandata via.
In quel mentre è arrivato un secondo molosso del MASCI che ci intimava di andare via dal luogo in cui eravamo. Io gli ho detto a muso duro che ero nervoso e che si dileguasse dato che sapevamo benissimo ciò che dovevamo fare. Questa volta sono stato io a fare impressione. E’ sparito alla vista. Voi mi conoscete, mi salta la mosca al naso facilmente quando percepisco un sopruso. Chiedo perdono, in parte.
“Stai tranquilla, glielo mandiamo per facebook e anche per twitter, al Papa, il tuo disegno”. Mi ha gratificato di un timido sorriso. Poi sgomitando, quando le prime avvisaglie e i primi movimenti di mani annunciavano la venuta del nostro Atteso, con la madre che l’aiutava, è riuscita a spingersi fino al corridoio e vedere finalmente il Papa, che le ha sorriso e si è preso il suo regalo. Con grande soddisfazione della bambina, Aurora.
Perché ero nervoso? Semplice. Mi ricordo che c’è scritto da qualche parte: lasciate che i fanciulli vengano a me. Mica gli adulti. I fanciulli. I fanciulli sono il nostro futuro, quelli che porteranno avanti la testimonianza. I vecchi sono il nostro passato, praticamente hanno già dato (se lo hanno fatto) e devono dare spazio, fiducia e saggezza ai giovani, pensando al futuro dato che del presente non c’è certezza è solo un attimo fuggente. Praticamente non esiste.
Quindi solo passato e futuro dietro e davanti a noi. Forse per questo tutti si sono comportati come se avessero dieci anni invece di settanta. Per avere più spazio e tempo davanti. Voglio sperare non come atteggiamento per intenerire sé stessi.
Il Papa deve esserne stato molto colpito da quella massa che agitava striscioline di carta colorata. Ma questo non ha disturbato, dicevano le striscioline: ci siamo. Il Tralàlla risicato non lo so, non vedevo il Suo viso. Ma certo sono stati minuti persi tra i mille impegni pianificati in orari stretti. Secondo me lo potevamo accogliere con il canto della promessa, fin da subito. Si è intrattenuto con noi, tra i più deboli ma poi è quasi fuggito. Mi sono chiesto: il Suo tempo se lo può prendere come vuole o altri lo stabiliscono per Lui? Il protocollo è sovrano? Si autoimpone il rispetto dell’orario come le sue guardie svizzere e non sgarra rispetto al previsto?
L’ho visto carico di pesi. E ci credo. I suoi serventi sono rigidi e solerti, gentili ma senza entusiasmo. Poco disponibili al buon senso. Più legati alle norme di difesa della persona che aperti al desiderio dello spirito. Il pomeriggio siamo ritornati una trentina di noi per la S. Messa programmata in Basilica. Non ci hanno fatto entrare: le nostre argomentazioni, pur in divisa e con l’udienza alle spalle (se ne sarà pur parlato) non hanno convinto. Abbiamo dovuto fare di nuovo una fila mostruosa giungendo praticamente a Messa conclusa. Grazie signori custodi della vostra perspicace pignoleria. Al Signore è bastata certo la nostra intenzione, a noi un po’ meno ma ce ne siamo fatta una ragione.
Mi si rizzano i capelli in testa a pensare quello che non sappiamo della vita di questa città nella città: basilica vaticana, città leonina o recinto di S.Pietro? Nella vita di Papa Francesco così aperto alle pianure infinite, il coraggio deve essere come il pane quotidiano. Molto più coraggio di quello che ho messo nelle cose che faccio nella lotta alle imposizioni. E mi sono detto: “Attorno a Lui vi sono lupi che si atteggiano a cani? I cani, come il pastore, badano alle pecore. I lupi se le mangiano. Noi siamo le Sue pecorelle e per essere protette abbiamo bisogno di un nostro pastore.
Noi pecorelle lo seguiamo con fiducia anche se ogni tanto la vista di un’erbetta gustosa ci fa perdere il percorso e allora il pastore ci viene a ripescare. Di notte e con la pioggia battente. Il Pastore insegna ai figlioli ciò che occorre fare per fare prosperare il gregge; anno dopo anno insegna il tratturo per andare dalla montagna alla marina per la via migliore e ritornare indietro.
I figli poi trasmetteranno quell’itinerario ai loro figli: quando partire, dove pascolare, dove c’è la sorgente, dove voltare, dove sostare, quando si sente nell’aria il momento del ritorno. Anno dopo anno. Gli aiutanti fanno i lavori di servizio: preparare il cibo, cagliare il latte, fare le forme, girarle, aprire lo stazzo. Il Pastore bada alle pecore e dà le dritte agli aiutanti perché facciano ogni cosa in modo corretto. Non è così anche tra noi?
Ma in quelle stanze rinascimentali lasciano al Papa spazio per sé? Oppure ci sono padroni che pianificano per Lui e si devono subire? Ma è possibile che qualcuno voglia limitare orari, spazi, pensieri del Papa? Non riesco a crederci. Chiedo al personale del Recinto sacro di San Pietro e anche alla chiesa tutta di non stressarlo con cose di ordinaria amministrazione di uno Stato che dovrebbe essere con cura, lealtà, perizia e competenza attuata da solerti aiutanti maggiori.
Lasciategli il tempo per il silenzio, la meditazione e la preghiera e non solo circondarlo di impegni. Credo che abbia necessità di molto tempo per parlare con Dio e con la gente. Di questo abbiamo bisogno: che ci ricordi ciò che abbiamo fatto finta, per tornaconto spesso, di dimenticare. Le parole di benevolenza, di speranza, di amore, di testimonianza, di partecipazione, di allegria per la vita, di coscienza, di coraggio, di coerenza, di attenzione, di misericordia che, con i silenzi e le bastonate (quanno c’è vò, c’è vò), ci inducono a curare le cose del mondo. Di innovazioni, perché prima o poi Iddio riesce a far passare i messaggi tenuti per aria nel tempo fin quando le menti diventano capaci di capirli. D’altro canto se non si rimane in ascolto non si ha la possibilità di sentire i fruscii delle foglie che parlano di pensieri ancora muti.
Concludiamo.
Quello che ho scritto mi è venuto dal cuore, senza pensarci su. Spontaneo e improvvisato anche se l’ho, in due giorni di riletture, ritoccato: è vero. Mi son detto, ora ci parlo, al Papa e agli amici (forse qualche nemico) questo è il nostro dialogo. Ho sentito, ho ripensato, ho elaborato e ho rimesso in linea.
Ho immaginato che il Papa Francesco leggendomi si sarebbe messo a sorridere e, per magistero, si sarebbe messo a correggere con rosso e blu le cose che non vanno e quelle che vanno fin troppo bene. Sorridere fa bene allo spirito e quindi, di riflesso, al corpo. Si rimane giovani. Gli auguro di mantenere la sua mente giovane in un involucro che possa seguire il suo corso il più tardi possibile. Gli voglio dire di avere fiducia piena nel nostro movimento di adulti ragazzini, dopotutto siamo una delle sue compagnie di cavalieri che hanno già avuto il loro schiaffo rituale e sono pronti ad aiutarlo e combattere per Lui, con il servizio e la testimonianza. Ci perdoni, Francesco, vero, di essere quello che siamo? Tienici vicini. Lo so che lo hai già fatto, sei generoso.
Tu non sai invece a cosa vado incontro io parlandoTi in questo modo … conosco diversi della mia comunità che incominceranno a dire così e cosà. Non gli va mai bene niente: c’è sempre un pelo da sezionare. Come mi permetto di parlare così? Ti rendi conto: al Papa! Ma cosà non era meglio dirlo in altra maniera? No, non mi preoccupo, sono loro problemi perché è lecito avere la propria opinione, le proprie paure e i propri pregiudizi; del resto se tutti fossero d’accordo incomincerei a insospettirmi … dopotutto anche io sto facendo la stessa cosa, a ben leggere.
Ma io ci ho messo dell’affetto in quello che ho scritto (e anche un po’ di ironia) perché parlo a chi voglio bene. Io mi vedo spesso come colui che sta in fondo al tempio perché non amo apparire (anche se mi fa piacere se avviene) e non riesco a fare mai tutto ciò che potrei fare e, se prego, lo faccio nel segreto del mio cuore e della mia mente. Qui ve lo accenno: “Ti ringrazio Signore di ciò che mi dai. In Te confido.”
Io voglio bene al Dio Giusto, al Dio di Misericordia e d’Amore; voglio bene al Papa (per il coraggio ca’ tene e per il suo essere operaio di Dio), a Maria (per il suo amore e il suo dolore di Madre), a Giuseppe (per la pazienza di Padre) e al figliolo Gesù (per la coerenza con cui ci ha insegnato come tutti siamo figli di Dio). Voglio bene al Santo patrono di Padova che mia Madre pregava perché mi tenesse fuori dalle sciagure, anche se non credo negli intermediari.
A me sembra di poterci parlare direttamente chiedendo, ringraziando, discutendo, offrendo. Con Gesù ho fatto lunghe discussioni fino a che ho avuto quarant’anni e oltre. Avevo qualcosa da dire su certi modi di fare delle istituzioni religiose. Mi ha dato dei consigli interessanti. Si intendeva più di agricoltura e pastorizia che di falegnameria, e ci siamo divertiti a chiacchierare insieme A Cinquanta m’ha detto: “Senti, da ora in poi parlane direttamente col Padre, è Lui che comanda.” “Ma perché?” “Ma non hai imparato proprio niente”, mi aveva risposto “sei peggio di un discepolo Zen”.
Ho visto così colui che ci tiene per mano e alle volte ci porta in braccio, nella sua veste. Vorrei dunque cercare di essere come l’esempio, il mio Amico Jeshua: non è facile ma neanche impossibile. La mia mente si è aperta e ho cominciato a voler essere disponibile e mettermi in gioco meglio di prima.
A tutti voi che ora state leggendo e commentando, spesso litigiosi compagni di cammino, comunico questa mia lontana decisione. E anche se alcuno ricambierà, ecco si è attivato l’Amore perché voi siete diventati i miei referenti. Ebbene si, Vi voglio bene. Gratuitamente, beninteso.
Ti voglio bene Francesco perché mi da la fiducia che avevo perduto, perché ha in mente di cambiare chi non si ricorda più degli insegnamenti del nostro comune Maestro. Gli voglio bene perché è in mezzo a noi, ci sostiene ed è sicuro che ce la potremo fare. Ti voglio bene perché sei contro la fiera delle vanità e guardi al cuore dell’uomo. Ti voglio bene perché accetti anche coloro che non capiscono il nuovo messaggio e si incaponiscono su qualcosa che rimane nella notte dei tempi.
E’ la mia preghiera questo mio voler bene che non vuole essere la semplice lode ma l’accettazione della Parola. Siamo entusiasti della vita. Ho visto in sogno che Tu sei quello che può cambiare il cuore delle Nazioni. Beninteso molti non ti ascolteranno, ti osteggeranno, dovrai affrontare molte pene e dolori. Leggo che anche i gesuiti hanno qualcosa da ridire. Sarà vero? Gesù non c’è più religione!
Il Signore Iddio mi parla di Te come di un uomo giusto. Sappi che Ti sono vicino e starò come muro di pietra a difenderTi, siine certo. E siamo in molti, ne ho parlato in giro, fidati. Io mi propongo Guardia civica del Papa. Volontaria, s’intende.
Conclusioni difformi.
E per strapparTi un altro sorriso, sai che Ti dico? Ti racconto una storiella.
“Francesco aveva l’abitudine, di sera, di andarsene in giro in macchina con il suo autista. In incognito, nessuno aveva sentore di queste fughe per vedere la città e i suoi problemi dal vivo. Solo le guardie svizzere del portone da cui usciva lo sapevano ma queste avevano la consegna di non dire nulla.
Sul raccordo anulare per Ostia Francesco chiede improvvisamente all’autista di fermarsi. “Senti”, gli dice, “fai guidare un poco anche me, ne ho tanta voglia e non riesco mai a farlo.” “Ma Santità” risponde quello “non si può.” “Non si può, non si può, andiamo.” “Ma Santità se andate sempre in bicicletta e con il metrò, non avete la mano”. Francesco contesta. L’autista si decide, scende e lascia il posto di guida.
Francesco si mette al volante, prova le marce e la frizione, poi le luci e il freno a mano. Tutto a posto. Sta per partire. “Senti dammi il berretto, altrimenti mi sembrerà di guidare nudo.” “Ma Santità, non si può.” “Non si può, non si può, sempre la stessa storia. Dammi ‘sto berretto. Adelante”.
Parte e ci prende gusto, sicché senza accorgersene oltrepassa abbondantemente i limiti di velocità. L’autista seduto sul sedile posteriore, sudava freddo e aveva anche una strizza che gli aveva sbiancato il volto. Riluceva di paura nell’ombra del sedile posteriore. Sfrecciano a duecento all’ora e forse più sotto uno di quei rilevatori di velocità. Francesco si diverte come un matto, la macchina vibra e tiene. La guida è sicura.
Ma ecco che si sente una sirena, si affianca alla vettura una pantera della polizia stradale che fa segno di accostare.
Il poliziotto scende, Francesco apre il finestrino. Il Poliziotto guarda dentro ma rimane un poco sul chi vive e poi fa segno di andare. L’altro poliziotto che lo vede ritornare gli fa: “Ma l’hai fatto andar via senza segnalarlo alla centrale e senza multa salata?” Il primo poliziotto rimane muto. “Ma insomma si può sapere chi era” riprende il secondo poliziotto che ha capito tutto.
“Non lo so chi era, fa il primo poliziotto un po’ titubante … ma aveva come autista il Papa…”
Lo vedo, voi non ci credete.
Eppure io parlo con il Papa ogni giorno e gli raccomando di avere fiducia. Poi parlo con Dio e gli dico: Figlio mio, aiutalo, vedi quanto si dà da fare? E Iddio mi risponde ogni volta, con grande pazienza, visto che sono un ribelle impertinente: “Non ti preoccupare ai miei ci penso io. Tu pensa per te; però fammi una cortesia ricordagli ogni volta quello che disse, un paio d’anni or sono, un saggio, su mio suggerimento.”
Nella mia mente si forma allora questa strisciata fiammeggiante in caratteri Bodoni: «Se il tuo cuore non ha avuto ciò che chiedeva, non essere triste, sii forte e continua senza timore perché Dio sta pensando a qualcosa di meglio per te.»
Vedi Signore Iddio? Ciò che mi hai chiesto l’ho fatto.
Lo sento ridere, Jorge Mario. Se lo ricorda.
Post Scriptum.
Sul bus che ci riportava indietro verso casa, d’improvviso mi è venuto desiderio di dire un qualcosa che mi era venuto in mente al posto di qualche giaculatoria:
“All’inizio della giornata di solito canto dentro di me una canzoncina che ho imparato quando ero ragazzino, in Svevia, in una cittadina dalle molteplici confessioni;
Grazie per questo buon mattino,
grazie!
per ogni cosa che,
grazie!
per ogni cosa che Tu hai voluto dare a me.
E mi invento di tanto in tanto altre strofe in cui coinvolgo gli altri, l’acqua, gli alberi, i pensieri, i nemici. Sono interminabili possibilità che poi svaniscono per essere ricreate di nuovo. Come dire: Grazie! per questo Papa buono, grazie! per le parole che, grazie! per le parole che ha pensato proprio per me.
Alla sera invece, pensando alla giornata chiedo perdono per le parole che avrei potuto dire e non ho detto, per l’amore che potevo dare e non ho dato, per le azioni che avrei potuto fare e non ho fatto, per ciò che ci era stato detto di seguire e non ho seguito, per essere stato burbero e avrei potuto evitarlo, per l’aiuto che avrei potuto dare e a cui non ho dato voce.
Per il perdono che avrei potuto donare e non ho saputo agguantare. Mi riprometto di rimediare anche se sento il mio orgoglio ergersi a difesa. Ringrazio allora ancora per il giorno appena trascorso, per il perdono, la misericordia e l’affetto che ci mostri, Signore Iddio. Padre Nostro.
A presto.
Giuseppe Spinelli
Comunità MASCI Reggio C. 4